11 SETTEMBRE 2001
 

recensione 11 settembre 2001

 
Secondo il metro della "Storia", uno degli atti più maleficamente geniali di tutti i tempi: semplici taglierini hanno condannato una parte di mondo alla paranoia (Mira Nair), innescando una rivoluzione in pieno svolgimento che non sappiamo dove ci condurrà. Ad un' arte onnicomprensiva l' interpretazione catartica di una ferita epocale per la nazione-guida del mondo. Non un lamento, ma parlare franco. Numero di registi e tempo riservato ad ogni episodio fissati da una data le cui cifre arabe, in una sorta di fato cabalistico, richiamano visivamente le Twin Towers. Si và oltre i criteri di giudizio, proprio grazie alla presenza di tanti autori noti - con altrettante prospettive - per un' operazione politicamente ostacolata. L' occidente si mostra sordomuto (Claude Lelouch), l' orrore cieco rimanda, come fantasmi, le voci degli scomparsi e si fà  
 
domande (Alejandro Gonzales Inarritu); nella buia follia della solitudine, il trauma può divenire illuminante (durissima la metafora di Sean Penn). Se poi l' attenzione si allarga, l' eccezionalità cambia in relativismo, un debole eco in paesi lontani presi da povertà, malattie e massacri (Danis Tanovic, Idrissa Ouedraogo) qui da noi perlopiù ignorati. Seguendo la ricerca senza pace di Yusef Shahin ed il parallelismo materialista di  
Ken Loach, dalle atomiche di Hiroshima-Nagasaki percorriamo velocemente gli ultimi decenni di politica estera statunitense, causa di eccidi in ogni angolo del pianeta, sia con interventi diretti, sia con lo zampino dei suoi servizi segreti. Per "terrorismo"non esiste una definizione universalmente condivisa: se il discrimine sono le vittime civili, nei conflitti del ventesimo secolo - per la prima volta lungo il percorso dell' umanità - il numero dei morti tra le popolazioni ha superato quello dei militari; perciò, muova o meno da presupposti di sacralità (Shohei Imamura), ogni belligeranza è criminale. E se per un kamikaze il governo di uno stato nemico è stato eletto da una maggioranza e quindi il singolo và considerato ugualmente responsabile e meritevole di essere ucciso, per un esercito regolare che esporta democrazia gli innocenti bombardati sono un "danno collaterale" il quale provoca lutti ancor maggiori. Il risultato però non cambia. (di Fedro)
 
 
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