“Se un giorno
decidessero di girare
un film sulla mia
vita, sarbbe terribilmente
noioso”. Questa
è una dichiarazione
di Peter Sellers.
Difficile a credersi.
Ma forse è
arrivato un film che
ci convincerà
della bontà
dell’affermazione
del grande comico
e attore inglese.
'The life and the
death of Peter Sellers',
del mediocre Stephen
Hopkins- da 'Nightmare
5' a 'Lost in Space',
fino ad 'Under Suspicion'
non ha mai lasciato
il segno- è
confusionario, irritante,
indeciso e impreciso.
Ma presentato a Cannes
nel 2004 e Goden Globe
come miglior film
e e miglior attore
per la tv. Una fiction,
appunto. Con ottime
interpretazioni che
danno al tutto le
connotazioni della
Filarmonica che suona
sul Titanic. In quest’opera
si rivive la vita
di uno dei piu’
grandi attori comici
della storia. Dalla
BBC fino alla folgorante,
inaspettata e disperatamente
voluta
interpretazioone
di 'Oltre
il giardino'.
Raccontato
dalle
persone
piu’
importanti
della
sua
vita,
da lui,
ovviamente,
imitate.
Unica
trovata
intelligente
e raffinata
del
film,
pur
rovinata
dai
dialoghi
e dalle
scelte
dei
tempi
di queste
introduzioni
ad ogni
nuovo
atto
della
pellicola.
Uomo
debole,
fragile,
psicotico-
causa
e effetto
del
suo
talento-
vittima
di una
madre
cinica
e arrivista
e con
un padre
succube,
inizialmente
l’opera
sembra volerci
raccontare
il Sellers
privato, colui
che si nascondeva
dietro quelle
tante maschere
che lo esaurivano,
in tutti i
sensi. Abbondano
stereotipi
e cadute di
stile, specialmente
nella descrizione
della sua
vita matrimoniale
e nella sperata
e mai consumata
relazione
con Sophia
Loren, una
Sonia Aquino
piu’
che dignitosa.
Virata in
un’orgia
di colori,
parole, avvenimenti.
Subentrano
i film e il
Sellers attore.
La confusione
regna e cercano
di abbagliarci
con riprese
furbe e l’ottima
prestazione
da caratterista
di Geoffrey
Rush, davvero
impressionante.
Qui, ai difetti
congeniti
del film,
pensano bene
di aggiungere
l’assenza
sconvolgente
dei film 'Lolita'
e, soprattutto,
'Hollywood
Party'. Arriva
il declino
e i due ingredienti
citati precedentemente
vengono mischiati
in maniera
disordianata
e fastidiosa.
Interessanti
anche se altalenanti
le interpretazioni
di contorno.
Buona Charlize
Theron nella
parte di Britt
Ekland, ottimo
John Lithgow
in un Blake
Edwards ben
disegnato-
siamo a Hollywood,
sono tutti
cartoni animati!-
improbabile
Stanley Tucci
nella parte
del suo piu’
famoso omonimo
Kubrick, intensa
Emily Watson
nella parte
della moglie,
caricaturale
ma efficace
Miriam Margoyles
nella parte
della mefitica
Peg Sellers.
Tutti, o quasi,
curiosamente
piu’
belli dei
loro originali.
Questo è
il classico
biopic di
cui si poteva,
e doveva fare
a meno. Per
riportare
in vita questo
attore eccezionale,
morto nel
1980 appena
54enne, serviva
amore, dedizione,
rigore e talento.
Solo Geoffrry
Rush, con
il suo lavoro
di voci- apprezzabili
solo nella
versione originale-,
mimica e travestimento,
gli rende
onore. Chi
scrive e dirige
no. Mette
insieme la
storia con
finta completezza
e sorprendente
superficialità,
opera su diversi
piani per
poter fuggire
dall’uno
all’altro
quando tutto
diventa troppo
difficile.
Lungo nella
durata è
quasi sempre
fin troppo
sbrigativo.
E’ vero,
la biografia
di un clown
trasformista
è difficile
da tratteggiare.
Mostrare la
condanna di
una mancanza
di personalità
al limite
del patologico
o di quante
lacrime di
tante persone
si nascondono
dietro quella
stessa persona.
Ma allora
meglio alzare
le mani in
segno di resa
e aspettare
che qualcuno,
un genio come
Peter magari,
sappia raccontare.
E capire.