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Esperimento cinematografico a tre mani senza separazione episodica tra le storie. L’espediente è un viaggio in treno, fiume immaginario di avvenimenti i cui affluenti sono i personaggi che vengono introdotti, sovrapposti o intersecati creando dinamiche e situazioni narrative. La prima parte è affidata a Olmi che racconta con rispettoso pudore un uomo al tramonto, ingrigito dalla polvere degli anni e che fantastica su una giovane donna incontrata per lavoro. Nel desiderio di un amore immaginato, l’evasione temporale dal presente e tutta la malinconia del tempo perduto. La parte centrale è affidata a Kiarostami: una generalessa capricciosa con accompagnatore manipola e tiene in scacco un intero vagone col suo caratteraccio salvo poi ritrovarsi sola e abbandonata, quasi una sorta di separazione necessaria tra l'adulto e il  
 
giovane. Nel segmento finale i “dolci sedicenni” di Loach sono in trasferta per la partita dei Celtics. Qui si viaggia frenetici, si graffia con sincerità e con la scusa di un biglietto rubato si racconta una storia di difficoltà, disperazione e speranza narrata brutalmente dalle considerazioni angeliche e diaboliche dei tre giovani scozzesi. C‘è spazio per la riflessione banale, vera, cruda e amara che senza biglietto non si va da nessuna  
parte. Quando si viaggia, si attende di arrivare alla meta magari sperando che succeda qualcosa mentre si legge o si chiacchiera, si ascolta musica o si guarda fuori dal finestrino e nonostante la noia, componente di tutti i tragitti del mondo, percepiamo la vita scorrere e muoversi più forte di qualunque altra cosa. Questo itinerario cinematografico fila via liscio, piegandosi anch’esso alla regola di cui sopra e offrendo un gradevole torpore, qualche momento esilarante, meditazioni e un’esperienza in più. (di Daniela Losini)
 
 
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