TERRA PROMESSA
 

terra promessa recensione

 
In attesa di vedere Free Zone, fresco vincitore a Cannes della palma d’oro per la miglior attrice protagonista (Hanna Laslo), ecco uscire nelle nostre sale, con un tempismo da gambero, Promised Land, già passato senza lasciare segni indelebili al 61 Festival del Cinema di Venezia. Ad esseri sinceri non ho un granché da dire. Voce dissonante d’ Israele, il cinema di Amos Gitai è come sempre uno sguardo non banale su un’attualità inattuale e scomoda, anzi inattuale perché scomoda e per questo lasciata fuori dai grandi canali di comunicazione di massa, una fotografia di una realtà irreale perché lontana da luoghi comuni così buoni per creare falsi pregiudizi e manicheistiche classificazioni rassicuranti, in quanto etichettabili. A sentir parlare dell’esistenza di una tratta di schiave bianche in Medio Oriente, con la tacita connivenza di Israeliani e Pale-  
 
stinesi, neanche fossimo nell’Africa di metà Ottocento, è probabile che i più assumano l’espressione tipica della mucca che vede passare il treno. In verità non è che uno dei tanti scandali che non salgono agli onori della cronaca perché incapaci di realizzare l’evento mediatico, riguardante una realtà troppo marginale su cui non vale la pena investire perché in fondo, alla fin fine, va meglio per tutti che le cose rimanga-  
no così. E allora all’ombra dell’indifferenza generalizzata le più ignobili e umilianti violenze possono venire perpetrate ai danni di donne abbandonate ai loro aguzzini nel più totale anonimato ed essere lasciate totalmente impunite. Basandosi sui dati raccolti da Amnesty International, l’autore di Kadosh e Kippur, telecamera traballante a spalla e stile secco e impietoso nel non arretrare di fronte a nulla, ci conduce attraverso il deserto d’Egitto al seguito di un gruppo di giovani donne che con la promessa di un lavoro verranno vendute e obbligate a prostituirsi nei locali di Gerusalemme, Haifa e Ramalla, nomi stranoti in tutto il mondo ma per altri motivi, evidentemente prioritari. Un viaggio on the road in forma di documentario – verità, condotto a bordo di un camion che, nefandezza dopo l’altra, si snoda lungo una discesa agli inferi alla volta di una “terra promessa” che sarà anche promessa, ma della quale è rimasto solo il nome su un insegna sbiadita di un bordello, in una città fantasma che è un cumulo di macerie, in cui anche l’esplosione di una bomba, durante un attentato terroristico, può essere vista come un dono caduto dal cielo.

(di Mirko Nottoli)

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