Inizierei citando
un collega che gode
della mia stima, Alessio
Guzzano, il quale
nel suo sito personale
introduce gli avventori
con la seguente frase:
Ogni stroncatura è
un atto d’amore.
Di mio aggiungo che
nutro molto rispetto
nei confronti dello
spettatore e che tale
assunto costituisce
uno dei saldi principi
coi quali mi accingo
a criticare o a recensire,
come preferite. Andare
al cinema, per chi
lo ama, è come
andare a un appuntamento.
Non ci si va né
troppo stracciati
di vesti e di testa
né abbigliati
come lampadari e possibilmente
col minor numero di
pregiudizi che obnubilano
la mente. Ogni volta
che vedo un film cerco
di svuotare il cervello
(che ci vogliono,
sei secondi?) e di
godere appieno delle
immagini e si spera,
delle emozioni, che
desidero provare ricevendole
dal grande schermo.
Veniamo al dunque.
Cito
testuali
parole
del
regista
Philip
Kaufman
“Nonostante
molta
azione
e mistero
siano
intrecciati
in questa
storia,
in definitva
sono
i personaggi
che
guidano
il film.
Credo
che
questo
cast
straordinario
abbia
realmente
portato
questo
thriller
psicologico
a un
nuovo
livello.”
Prima
considerazione:
i personaggi
erano
tutti
ubriachi
o meglio,
sotto
roipnol?
Seconda
considerazione:
se il
livello
nuovo
è
questo,
me-
glio
rimanere a
quello precedente.
La trama si
snoda ruotando
attorno a
tre personaggi
principali.
Ashley Judd,
la poliziotta
che diventa
Ispettrice,
Samuel L.
Jackson, il
Grande Capo
del Distretto
e Andy Garcia,
il nuovo collega
dell’ispettrice.
La donna inizia
la sua nuova
carriera seguendo
il caso di
un serial
killer che
ammazza uomini
e che, casualmente,
sono imparentati
con la suddetta
grazie a intercorsi
scambi di
sano sesso.
Lungi da me
il giudizio
morale. La
donna sbevazza
che è
una meraviglia,
impreca, è
un concentrato
di aggressività
pura al limite
della macchietta.
Voi direte,
il solito
sceneggiatore
misogino…
e no sceneggia
una donna.
Aggravante.
Ha stereotipizzato
al femminile
tutte le caratteristiche
del peggiore
dei poliziotti
quindi Er
Monnezza al
secolo Nico
Gilardi al
confronto
vince in credibilità
e senza storie.
Mentre scrive,
la sottoscritta,
soffre: questo
film è
l’ennesima
occasione
mancata. Mi
chiedo come
siano riusciti
a pronunciare
le battute
gli attori
e mi chiedo
come abbia
potuto il
regista dirigere
senza deprimersi.
La risposta
è multipla:
i soldi? Veniali.
Ci hanno creduto
veramente?
Ingenui. Resta
da segnalare
anche un altro
fatto: trattasi
di thriller
e quindi ingredienti
come la suspance
e la tenuta
salda dell’intrigo
sono indispensabili.
Dov’erano?
In vacanza?
Non vi dico
dopo quanti
minuti dall’inizio
del film tra
me e me mi
son svelata
chi era l’assassino.
Rischio di
diventare
saccente.
Guardatevi
Blue Steel
di Katherine
Bigelow per
orientarvi
in questa
selva di polizieschi,
cosiddetti
alternativi,
al solito
distretto
virilizzato.
E concedetemi
l’estremo
gioco di parole:
l’assassino,
come il film,
è caduto
nella sua
tela. Rovinosamente.
(di Daniela
Losini )