Un amore senza nomi,
sussurrato appena
dalle pedine di un
gioco che delicatamente
evoca, attraverso
le parole, i segni
di un passato mai
morto (forse soltanto
in stand-by), in attesa,
ancora, di conoscere
il proprio futuro.
Questa la summa del
lungometraggio d’esordio
di un nuovo rampollo
targato Centro Sperimentale
di Cinematografia;
Stefano Pasetto, giovane
promessa (azzardiamoci)
che in virtù
del biglietto da visita
(anche se i cinefili
lo ricorderanno per
il documentario Waiting
in the wings) c’è
d’augurarsi
non si perda nel calderone
leggero-intimista
che da qualche anno
furoreggia tra i gusti
del popolo cinematografico
peninsulare. La sinossi
narra la ricostruzione
a flashback e dejavu,
per mezzo di un gioco
da tavola, degli incontri
sfiorati e poi compiutisi
di due trentenni:
Lui (Fabrizio
Rongione),
ora
carcerato,
ancorato
ormai
soltanto
ai ricordi
(giocati)
di quel
sottile
amor
e Lei
(Barbora
Bobulova)
sospesa
tra
il passato
presente
e un
futuro
(forse)
fatto
d’attesa.
Sullo
sfondo
una
plumbea
e melanconica
Trieste,
teatro
di un’occasione
continuamente
rimandata
che
vive,
dieci
anni
più
tardi,
sullo
slancio
di un
sacchetto,
sulle
istantanee
sbiadite
dal
decorso,
sul
ricordo
di retro
della
fermata
di
un
tram (che
si chiama
Desiderio?);
sulla scorza
adamantina
di un dono
giovanile,
pegno di amore
adolescenziale:
quella tartaruga,
radice profonda
della memoria
che, una volta
attecchita,
non ha speranza
di farcela,
per quanto
resistente
ai percorsi
erti dell’esistenza.
Se l’idea
del regista
era quella
di contraddire
la tipica
struttura
melò,
regalando
aperture negli
emisferi dell’esperienza,
il risultato
è più
che discreto.
Sotto forma
di racconto
intimista,
la 35 mm è,
in realtà,
un’apertura
a trecentosessanta
gradi sull’essenza
pura e, al
tempo stesso,
un’occhiata
di sbieco
al destino
che si rivela
essere molto
più
aperto di
quanto possiamo
auspicarci;
è un
collage d’immagini
che, associate,
svelano qualcosa
di sconosciuto
all’apparenza
ma molto vicino
sin dalla
primigenia
infanzia.
Tutto nel
segno della
comunicazione
simbolica.
Quella partita
di Scarabeo
sembra infatti
evocare un
leitmotiv
artistico,
linea ininterrotta
da Pascoli
a Montale
(e oltre),
passando da
Gozzano e
Marinetti:
cos’è
la parola?
cosa può
dirci sotto
forma di silenzio
o gesto? Per
Pasetto che
la partita
(ora) è
finita. Per
ora?