Quel che resta da
inscenare sul wuxia-pian
(il genere cavalleresco/epico
che arriva dall’oriente)
ci provano a raccontarlo,
male, i coreani in
chiave grezza e splatter
con qualche richiamo
agli stacchi di camera
alla Shogun e gran
dispiego di mezzi
cinematografici, costumi
e comparse. Complotti,
intrighi e ministri
stecchiti come mosche
con emorragico spreco
di sangue, gli amici
di sempre che si trovano
a combattere su fronti
diversi e divisi dall’amore
di una fanciulla che
irretisce facendo
il bagno senza veli
tra le ninfee constano
il degno companatico
ai duelli, alle battaglie
e agl’ingredienti
che aspirano a farsi
ordito che si sfilaccia
in dialoghi incomprensibili
(dobbiamo dare la
colpa al traduttore?
Vallo a sapere…)
o talmente solenni
da generare torpore
immediato. Siamo nel
diciassettesimo secolo
e in Corea regna la
confusione
politica
e umana:
ma al
punto
che
gesti
come
il pollice
alzato
verso
l’alto
(l’ok
yankee
per
intenderci)
si usavan
già?
Stormiscono
imperfette
le foglie
di bambù
tra
le flessuose
canne
verdi
mentre
le lame
dei
pugnali
e delle
spade
scattano
stridenti
e incerte.
Non
sono
danze
coreografate
bensì
tribali,
colme
di sincera
e armata
pesantezza
ma non
bastano
a soddisfare
il palato
reso
arido
dalla
poca
consiste-
nza.
Menzione speciale
alla colonna
sonora: fuori
sincrono.
Terrificante