SWORD IN THE MOON
 

sword in the moon recensione

 
Quel che resta da inscenare sul wuxia-pian (il genere cavalleresco/epico che arriva dall’oriente) ci provano a raccontarlo, male, i coreani in chiave grezza e splatter con qualche richiamo agli stacchi di camera alla Shogun e gran dispiego di mezzi cinematografici, costumi e comparse. Complotti, intrighi e ministri stecchiti come mosche con emorragico spreco di sangue, gli amici di sempre che si trovano a combattere su fronti diversi e divisi dall’amore di una fanciulla che irretisce facendo il bagno senza veli tra le ninfee constano il degno companatico ai duelli, alle battaglie e agl’ingredienti che aspirano a farsi ordito che si sfilaccia in dialoghi incomprensibili (dobbiamo dare la colpa al traduttore? Vallo a sapere…) o talmente solenni da generare torpore immediato. Siamo nel diciassettesimo secolo e in Corea regna la confusione  
 
politica e umana: ma al punto che gesti come il pollice alzato verso l’alto (l’ok yankee per intenderci) si usavan già? Stormiscono imperfette le foglie di bambù tra le flessuose canne verdi mentre le lame dei pugnali e delle spade scattano stridenti e incerte. Non sono danze coreografate bensì tribali, colme di sincera e armata pesantezza ma non bastano a soddisfare il palato reso arido dalla poca consiste-  
nza. Menzione speciale alla colonna sonora: fuori sincrono. Terrificante

(di Daniela Losini)
 
 
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