Pawel Pawlikowski
aveva fatto una buona
figura a Venezia,
nel 2000, con il gradevole
e interessante Last
Resort. Poi, dopo
qualche regia televisiva,
si getta su un romanzo
cupo e forte di Helen
Cross, lo stravolge
e ne fa una noiosa
narrazione di una
estate calda e pruriginosa,
ma non troppo. Dalla
precedente avventura
si porta dietro Paddy
Considine, Alfie allora
e un fratello - in
tutti i sensi - reborn
ma non troppo adesso.
E’ lui, tra
l’altro, l’unico
personaggio centrato
del film. Una macchietta
gustosa e divertente.
Tutto è incentrato
sulle affascinanti
protagoniste. Ben
scelte, sia sotto
il profilo estetico
che artistico. Peccato
che vengano dirette
poco più che
mediocremente e le
loro battute siano
scritte decisamente
male. Per gradire,
inoltre, il doppiaggio
italiano ci mette
del suo. Film sciatto
senza ritmo, annoia
invece
di coinvolgere,
è
freddo
piuttosto
che
sensuale.
Coperto
di premi
e accompagnato
da recensioni
molto
positive
appare
come
un’operazione
fin
troppo
ammiccante
ad un
pubblico
di adolescenti
e adulti
poco
cresciuti.
La storia
è
presto
detta.
La sveglia
ragazza
dello
Yorkshire,
chiamata
da tutti
Mona
- per
la sua
passione
per
la pittura!
- ma
il cui
vero
nome
è
Lisa
–
e qui
immaginiamo
l’immane
sforzo
intellet-
tuale
degli sceneggiatori…-,
incontra in
una passeggiata
con il suo
motorino privo
di motore
(metafora
più
che valida
per esprimere
un giudizio
adeguato al
film) la raffinata
e viziata
Tasmin, a
cavallo, mora
sensuale e
bugiarda.
Inizia tra
loro una relazione
ambigua e
appassionata
o presunta
tale, fino
alla resa
dei conti
finale, senza
alcun dubbio
il momento
migliore della
pellicola.
L’ambientazione
suggestiva
e un’alchimia
intermittente
tra le due
sedicenni,
così
simili e diverse,
riesce solo
raramente
ad andare
oltre la patina
vagamente
morbosa di
un provinciale
e casto voyeurismo.
L’analisi
psicologica
è banale
e superficiale.
Con il massimo
rispetto per
il talento
della troupe,
che si intravede,
ma si disperde
in un’opera
trascurabile.
Come già
detto, interessante
anche se troppo
ridicolizzata
e poco compresa
la figura
del fratello
di Mona, Phil,
un ex delinquente
che ha incontrato
la fede, oggetto,
da parte sua,
di un vuoto
e vacuo fanatismo
e che lo porta
alla folle
e non condivisibile
scelta di
trasformare
il pub in
un luogo di
culto, e non
nel senso
in cui lo
intende il
vostro recensore.
La scena migliore
è proprio
quella in
cui Phil,
in un dialogo
con Tasmin,
vuole far
entrare Dio
dentro Tasmin.
E, guarda
caso, è
disposto al
sacrificio
di diventarne
il veicolo
terreno. Purtroppo
altre non
ce ne sono.
E in questo
senso si scorge
uno dei più
gravi difetti
del film.
Il prendersi
eccessivamente
sul serio.