SULLA MIA PELLE
 

sulla mia pelle recensione

 
Dopo anni passati all’interno di una cella tre metri per due, il detenuto Tony Zanchi ottiene la semilibertà e trova lavoro presso il caseificio Cimarosa, gestito da Bianca e Alfonso, dove festività e vacanze non sembrano esistere. Qui, Tony assiste al pestaggio di Alfonso e si rende presto conto del fatto che l’azienda, a causa dei numerosi debiti accumulati, sta cadendo nelle mani della grossa malavita. Quindi, nonostante la sua esistenza sia ora priva di mura e sbarre, si trova di fronte ad un bivio le cui strade portano alla libertà, ma ambedue con risvolti negativi: da una parte, come la prigione gli ha insegnato, è meglio farsi i fatti propri e non intervenire in difesa di Alfonso, in quanto ad un semilibero basta una piccola mancanza per essere rispedito dentro; dall’altra, come la legge asserisce, senza lavoro non può esservi  
 
semilibertà, il destino del caseificio è quindi fondamentale per impedirgli di tornare dietro le sbarre, da semplice detenuto. Ex allievo della Scuola di Cinema Gaumont, fondata da Renzo Rossellini, e regista, tra l’altro, di 'Messaggi quasi segreti', vincitore del Premio ‘miglior film’ al Festival Internazionale Scrittura e Immagine 1997, Valerio Jalongo torna dietro la macchina da presa per dirigere 'Sulla mia pelle', scritto con  
la collaborazione di Gualtiero Rosella, Enzo Civitareale e Diego De Silva, inizialmente nato con il titolo 'Maledetta libertà' e preparato mentre lavorava all’interno del carcere romano di Rebibbia, in qualità di insegnante di scrittura. “In principio Sulla mia pelle, costato circa 2.200000 euro, doveva essere una commedia, ma si è trasformato progressivamente in un melodramma ai limiti della tragedia greca”. Così il produttore Rosario Rinaldo, di cui, recentemente, abbiamo sentito molto parlare grazie al pluripremiato 'Certi bambini' (2004), ricorda la genesi di questo moderno spaccato sociale su celluloide, girato con tecnica impeccabile, che ha avuto vita difficile, in quanto bloccato da una nuova legge sul cinema, insieme ad altri prodotti. Una storia di semilibertà, ideale che l’autore definisce “Bellissimo, ma che funziona purtroppo soltanto per pochissimi detenuti, in quanto molti tornano poi a delinquere”, ottimamente interpretata da Ivan Franek ('Provincia meccanica'), Donatella Finocchiaro (Angela), Vincenzo Peluso ('I buchi neri'), Stefano Cassetti (Roberto Succo) ed il compianto Mario Scarpetta ('Ferie d’agosto'), che racconta la legislativamente triste Italia del XXI secolo, governata da leggi inefficaci o, meglio ancora, mal sfruttate da coloro che hanno il compito di farle rispettare. Una società in cui l’evidente criminalità organizzata è tranquillamente a piede libero, mentre persone come Tony, responsabili di piccoli reati o, addirittura, innocenti (intelligentemente Jalongo non spiega i motivi della sua incarcerazione), si trovano a dover scontare pene pesanti. Esasperato ed accecato dalla rabbia, alla fine, è sempre il comune cittadino a prendere provvedimenti del tutto anarchici nei confronti di questi delinquenti dal grande potere, per perdere poi, paradossalmente, la libertà che è riuscito ad ottenere, in quanto è in quel momento, allora, che le Forze dell’Ordine si muovono per applicare le regole imposte dalla legge. E tutto questo il regista ce lo racconta, supportato dalle musiche del mucciniano Paolo Buonvino e dalla realistica fotografia di Alessandro Pesci, senza rinunciare ad un pizzico d’ironia, ed infarcendo il prodotto con affascinanti simbologie; impossibile non citare la significativa sequenza in cui, da una rupe, Tony urina sul mare, allegorico sinonimo di libertà.

(di Francesco Lomuscio)

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