STAR WARS: EPISODIO III - LA VENDETTA DEI SITH
 

star wars: episodio III recensione

 
Il cerchio si è chiuso. Dopo un’attesa lunga quasi trent’anni, la sacra trilogia conosce il suo inizio e allo stesso tempo la sua fine. L’ultimo capitolo di Star Wars, Episodio III - La Vendetta dei Sith, mette finalmente al loro posto tutti i tasselli che mancavano, dando l’opportunità di valutare l’intera opera da un punto di vista nuovo e, per la prima volta, completo. Ma il nuovo lavoro di George Lucas, sceneggiatore, regista e produttore di questo come di tutti gli episodi di Guerre Stellari, non si limita a ciò; si può anzi affermare senza dubbi che il suo primo e più grande merito sia la qualità del film come opera in sé. Un’opera permeata di una tragicità cupa e seducente, capace spesso di una forza evocativa che rimanda direttamente alla trilogia originale, con il prevedibile tuffo al cuore che ne consegue; neanche lontana pa-  
 
rente dei due ignobili episodi che l' hanno preceduta e che risultano, se mai ce ne fosse bisogno, ancora più vuoti ed inutili al cospetto di tanta luce. È il racconto della morte di un eroe, travolto, assieme con i suoi sogni, dall’inganno e dall’ ambizione. Una pellicola che ha il coraggio di guardare negli occhi il male, soffermandosi ad inquadrare gli orrori delle dittature, che vivono di assoluti, di amici o nemici, di guerre infinite e  
indefinite; che spesso si nascondono dietro slogan dolci e rassicuranti, dietro sicurezza e stabilità; che si mascherano da democrazie, usurpando la parola libertà; che ingannano, strumentalizzano e rovinano la vita di persone perbene; che privano i sottoposti della propria identità, della propria unicità, imprigionandoli dentro maschere indifferenziate. Proprio quest’aspetto del film, così apertamente politico, risulta essere il più sorprendente e conferisce alla pellicola uno spessore di attualità inaspettato. È così che muore la libertà: sotto scroscianti applausi. Il viaggio verso il lato oscuro che il film racconta non è perciò solo quello annunciato di Anakin Skywalker (un Hayden Christensen feroce e idealista allo stesso tempo) ma bensì quello di tutta la Repubblica: la morte e resurrezione di Anakin in Darth Fener ben simboleggiano la perdita di individualità dell’uomo comune davanti a ideali più grandi di lui, a sogni fondanti che ci rubano a noi stessi e alle persone che amiamo ma allo stesso tempo sono l’emblema di come, una volta che ci abbiano conquistato, siano proprio questi sogni a tenerci in vita. Non vediamo che quello, chiusi nel nostro elmetto privo di visibilità laterale, privo quindi di una prospettiva che sia altra, finendo coll’immedesimarci in esso. Anakin muore e va ad incarnarsi nella sua stessa prole, quella prole in cui un giorno lontano si specchierà per ritrovarsi, ribellarsi ed infine abbandonare il triste simulacro che lo opprime. I figli redimeranno i padri: il cerchio si chiude, si spengono le luci. Un film ispirato e profondo, capace di momenti di estrema crudezza ma anche di far sorridere, che forse ha proprio nelle tanto pubblicizzate scene d’azione i suoi unici punti di debolezza. Cala quindi il sipario sulla saga più amata, e cala in modo poetico, lasciandoci dentro un pizzico di malinconia.

(di Antonio Nasso)

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