STAGE BEAUTY
 

stage beauty recensione

 
Londra 1660 lo sfondo; Edward “Ned” Kynaston, uno dei più importanti attori teatrali ermafroditi del periodo, il protagonista; l’amore per il palcoscenico l’ossessione; una donna, Maria, la miccia che, esplodendo, scompagina e ricompone i tasselli di un puzzle da sistemare. Ecco servito il menù di 'Stage Beauty', ultima firma del cineasta Richard Eyre, che, andando oltre ad ogni scontato preconcetto (ed in questo caso risulterebbe banalizzante), si dimostra un buon film in grado di sconvolgere, grazie ad una miscela perfetta di teatro, amore e redenzione, i dettami imposti dall’ormai datato (1998) Shakespeare in love. Nessun grande classico come protagonista (compare Pepys ma in un ruolo secondario); niente ulteriore elucubrazione sul mestiere d’attore ma soprattutto annullata totalmente la struttura mèlo,  
 
motore primo della pellicola di Madden. In sostituzione cosa, quindi? Molto di più. Il plot, narrante la storia di Edward Kynaston, attore ermafrodita costretto a rinunciare improvvisamente alla propria occupazione (e quindi alla propria esistenza), causa la cocciutaggine della sua sarta Maria (Claire Danes), la quale si rende movente di un editto emanato dallo stralunato re Carlo II (Rupert Eve-  
rett) che prevede la possibilità, prima, e l’obbligo, poi, d’interpretazione di ruoli femminili da parte del gentil sesso, spinge, infatti, in due differenti direttrici. Da una parte l’amore per le scene e per il mestiere d’attore, portato in scena da un Byll Krudup eccezionale, capace di toccare le corde emotivamente più recondite (allorché l’attore riesce ad ingannarci diviene sublime). Dall’altra il dramma dell’inabilità di saper accettare la propria identità sessuale. Questa commistione bivalente, di cui si fa carico la pellicola, viene equilibrata attraverso l’amore, inteso non tanto come corrispondenza sentimentale d’amorosi sensi ma più come sensismo introspettivo, capace di risvegliare nel protagonista l’originaria natura. E, in un abile pastiche di motivi ed oggetti ricorrenti, quali un cuscino, il proprio ruolo tragico, parrucche, pranzi e cicisbei della vita di corte, grazie a questo amore si compie così la catarsi interiore di Kynaston; da quello che fu, essere vivente amato non come uomo né come donna ma come “altro”(Desdemona), a quello che è sempre stato; soltanto troppo e per troppo tempo celato dietro a cipria e mascheroni.


(di Marco Visigalli)

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