Già dai titoli
di testa si comprendono
la cura e l’attenzione
con cui è stato
diretto il secondo
capitolo della saga
del tessiragnatele.
Vignette acquerellate
ripercorrono le origini
del supereroe, dal
fatale morso dell’insetto
radioattivo allo scontro
con il Goblin. Fin
dall’inizio
è l’ironia
tipica dei fumetti
di “Spidey”
a guidare scene d’azione
ben congeniate, con
effetti digitali poco
invasivi. Il cast
rasenta la perfezione
per quanto riguarda
fisionomia e caratteri
espressivi, a partire
dal bravissimo Alfred
Molina, già
visto in “Frida”
nei panni del pittore
Diego Rivera, qui
istrionico e folle
come il Dottor Octopus,
prigioniero della
sua stessa creazione.
J. K. Simmons torna
a divertire con gli
scatti nervosi dell’arcigno
direttore del “Daily
Bugle” e Rosemary
Harris sembra la reincarnazione
di Zia May. Bravura
e somiglianza rendono
Tobey Maguire
la
vera
star,
adatto
a interpretare
il gracile
ragazzo
alle
prese
con
i problemi
quotidiani
e pronto
a indossare
la maschera
per
combattere
la minaccia
di turno.
Superiore
al primo
“Spider
Man”
per
movimenti
di macchina
da presa,
dosaggio
di epos
e umorismo
e combattimenti
da fiato
sospeso,
anche
questa
pellicola
rivela
il punto
debole
nella
sceneggiatura.
La storia
ricalca
lo svolgimento
del
film
precedente
e si
ripropone
l’esatta
sequenza di
eventi: scienziato
pazzo, rapimento
di Mary Jane
Watson, perdita
temporanea
dei superpoteri
e duello finale.
Il pregio
sta però
nell’aver
amalgamato
le diverse
situazioni
in un montaggio
scorrevole
e privo di
punti morti.
Da notare
le apparizioni
di Stan Lee,
creatore dell’Uomo
Ragno e di
Bruce Campbell,
storico compagno
horror del
regista Sam
Raimi dai
tempi de “La
Casa”
e “L’Armata
delle Tenebre”.
La colonna
sonora dell’onnipresente
Danny Elfman
aggiunge un
tocco fumettistico
in più,
grazie ad
atmosfere
perennemente
in bilico
tra malinconia
e magniloquenza.
Infine, se
Tobey Maguire
non si pronuncia
su un eventuale
terzo capitolo
cinematografico,
la presenza
del Dottor
Connors, alter
ego del futuro
arcinemico
Lizard, e
la conclusione
“aperta”
con tanto
di cameo di
Willem Dafoe
lascia poco
spazio ai
dubbi. (di
Alessandro
Ruggieri*)
*
Professore di
sceneggiatura
alla Scuola
Romana dei Fumetti