Nella Torino di oggi, uggiosa
e ombrosa, può capitare
che due solitudini si sfiorino
ed entrino, a distanza di
qualche minuto l'una dall'altra
in un negozio per comprare
la stessa pietra, la labradorite,
che rinforza lo spirito
e i sentimenti. Almeno così
dovrebbe. Due solitudini,
quindi due spettatori del
proprio destino. Abitano
uno di fronte all'altro
lui è un ricercatore,
lei una traduttrice (in)
simultanea. Lui pare non
accorgersi di nulla. Lei,
invece, osserva, guarda,
annota con gli occhi e registra.
Chissà mai che un
giorno gli "appunti"
possano servire. Poi capita
che l'uomo decida improvvisamente
di trasferirsi a Roma e
che lei altrettanto improvvisamente,
si convinca di seguirlo,
addirittura di modificarsi:
da spettatrice aco-protagonista
deila vita di quello strano
oggetto del desiderio, che
ha una relazione con un'altra
donna più grande
di
lui. Comincia
così
uno stupito
triangolo
amoroso, dove
ognuno dei
lati non conosce
le misure
e le intenzioni
dell'altro.
Cuori in inverno:
l'ottima opera
prima di Paolo
Franchi parte
da Truffaut
(quel poster
di Jules e
Jim appeso
alla parete...)
e approda
all'ultimo
Sautet (non
a caso, una
delle protagoniste,
la funzionalissima
Brigitte Catillon,
impersonava
Regine proprio
in Un cuore
in inverno).
Quello di
Franchi è
un cinema
intimista
che studia
antropologicamente
il
sangue raggelato di
uomini e donne che
hanno licenziato le
emozioni. È
una seduta psicoanalitica
reiterata, che insegue
vanamente la ragione.
Di grande spessore
i due attori principali:
Andrea Renzi è
straordinariamente
mummificato nella
sua paura d'amare;
Barbera Bobulova è
timida, ma molto audace.