Leonida, re di Sparta,
qualora uno stato
vicino richiedesse
soccorso militare,
mandava un solo uomo.
L'agente Scott, da
solo, cerca di riportare
a casa la figlia rapita
di un influente uomo
politico americano,
nell'imminenza delle
rielezioni. Ancor
più che nelle
sue opere precedenti,
lo spartito del genere
diventa per il regista
di 'La casa dei giochi'
veicolo per una coscienza
di se stessi e del
mondo. Spartan non
è un film sulla
tratta di ragazze
altolocate, nè
su un ulteriore svelamento
di un'istituzionalismo
- sociale, politico,
militare - che si
fonda sulla menzogna
e sul sangue, e in
cui i morti sono di
prassi. È anche
di questo che parla
Spartan, ma non ne
fa mai una tematica.
Spartan è un
thriller sull'inevitabile
autoconsapevolezza
di una dissolvenza,
quella che riguarda
Scott, e quella che
ci riguarda. Come
urla
Stoddard
nel
finale
a Bobby,
siamo
alla
Terza
guerra
mondiale.
È
un nuovo
ciclo,
è
la nuova
guerra,
la Terza,
e l'unico
modo
per
sopravviverle,
quando
intorno
a noi
tutti
stramazzano
a terra
stecchiti,
è
quello
di fantasmizzarsi,
di rendersi
invisibili.
Che
è,
in fondo,
una
morte.
È
ciò
che
è
costretto
a mettere
in atto
Scott.
La conclusione,
in una
Piccadilly
Circus
deserta
e da
postatomica,
sembra
venir fuori
da uno spionistico
da guerra
fredda. Spartan
guarda in
faccia la
nostra epoca,
e non ride
mai. Bel cast,
dialoghi serrati
e ottima musica
di Mark Isham.
(di Pier
Maria Bocchi
- Film TV)