Adam Sandler si cimenta
con la commedia agrodolce
- genere nel quale
in "Ubriaco d’amore,
agro e basta",
fece intravedere qualche
potenziale espressivo
ma pellicola e personaggio
erano ben altra cosa
– interpretando
un padre che adora
i propri figli e amministra
la famiglia senza
portafoglio, tiranneggiato
dalle nevrosi della
moglie (Tea Leoni)
ex manager logorroica
in fase di stallo
da lavoro ma non di
competizione, supportato
dalla suocera (il
personaggio migliore
assieme all’amabile
nipotina in carne
e apparecchio) una
ex cantante di successo
dispensatrice di salvifico
cinismo a tasso alcolico.
Gestisce con dedizione
e successo un ristorante
e maldestro, i fasti
di un matrimonio un
po’ passatello
affossato nei miasmi
dell’egoismo.
In questo tran tran
mediamente isterico
si inserisce una gio-
vane
governante
messicana
tosta
e tutta
d’un
pezzo
che
non
pronuncia
una
parola
di americano
(Paz
Vega)
e che
si porta
al seguito
prole
femminile
che
ambirebbe
essere
americana
nel
sogno
e nelle
supposte
possibilità
d’avverarlo.
Gli
equilibri
precari
vacillano
per
poi
ristabilirsi
alla
luce
di sbandate,
amori
nascenti
e scossoni
di nervi.
Nella
trama
s’innesta
come
viticcio
malefico
la questione
loffia
della
famiglia
benestante
che aiuta
i meno abbienti
domestici
da sponsorizzarsi,
però,
senza farlo
pesare e una
riflessione
sul linguaggio:
corsi di lingua
per capirsi
o comunicazione
affine senza
bisogno d’interpreti
pur essendo
di idiomi
diversi? Ci
si sforza
di star lontano
dai clichè
e di far qualcosa
di diverso
ma alla fine
pur suggerendo
nei propositi,
abbozza negli
intenti ed
è ruffiano
nel risultato
salvandosi
in extremis
nell’unico
finale plausibile:
il ritorno
alle origini.