THE SKELETON KEY
 

the skeleton key recensione

 
Un’infermiera (Kate Hudson, sprecata) con una certa disposizione verso l’ignoto e l’oscuro - uno dei pazienti che cura muore e lei si fa carico degli effetti personali che nessuno reclama per puro oblio – accetta un lavoro di assistenza a domicilio in una strana casa nello stato della Lousiana. Lui (John Hurt, ineccepibile) praticamente paralizzato, necessita di attenzioni continue e la moglie (Gena Rowlands, gradita presenza ma doppio spreco di bravura) lo affida alle sue attenzioni professionali ma la avverte: l’abitazione coloniale è enorme, vetusta, enfia di stanze e pertugi ai quali è possibile accedere solo con la chiave universale, da cui il titolo, e sarebbe cosa giusta attenersi alle sole zone padronali. Inquietanti e ritmici rumori in soffitta, la mancanza totale di specchi all’interno della costruzione sono i primi elementi di anormalità che solleti-  
 
cano la perversa curiosità della ragazza e una flebile ma accorata richiesta d’aiuto da parte dell’infermo, la chiave di volta per superare il tabù delle raccomandazioni e del sacro timore. Armata del passepartout parte all’esplorazione e approda nell’unica stanza impossibile da aprire. Il vaso di pandora è schiuso e vecchie vicende legate alla pratica di riti vodoo, credenze popolari e liturgie sacrificali sono l’humus nel quale cre-  
scono i sospetti reciproci supportati da una continua altalena di rimbalzi: ti credo non ti credo, ci credo non ci credo per arrivare al “non è vero ma ci credo” e assumersi le responsabilità del caso. Cantilene maledette registrate su vinile, bamboline malefiche spillate di noia e tempi morti sono il salvacondotto per approdare al finale che ribalta la prospettiva e spiega i lati oscuri di questa storia di fantasmi in salsa blues dove lo spirito di Samara è pressochè replicato – meglio dire riflesso - sotto altre spoglie (lo sceneggiatore è il medesimo che riadattò 'The Ring' per il pubblico occidentale). Brutte cose accadono e gli abitanti della casa si trasformano nelle pedine di un disegno che si reitera senza possibilità alcuna di ribellione perché questa volta la storia è a uso e consumo degli spettri. Ma allora dov’è la novità?

(di Daniela Losini)

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