Chi ha visto Dopo
mezzanotte
rimanendone suggestionato
non dovrebbe lasciarsi
sfuggire Se
devo essere sincera...
Non tanto perché
il secondo valga il
primo, quanto per
lo stralunato corto
circuito che divampa
nelle insistite inquadrature
di Ferrario
sulla Mole Antonelliana,
sui tetti di Torino,
sulle vedute dall'alto
di una città
che il regista bergamasco
ama come un figlio
d'adozione. E anche
le storie dei due
film si incrociano
e si rincorrono, due
storie di triangoli
isosceli di cui però
non si intravvedono
mai i due lati uguali.
È come se i
resti (o gli extra
o alcuni "fegatelli")
di Dopo mezzanotte
si fossero allontanati
nottetempo per rifugiarsi
in un'altra zona del
capoluogo piemontese
e rientrare quindi
sull'altro set, meno
aggrovigliato intellettualmente,
più digenere
(un giallo spostato
in commedia che si
dimentica
del
giallo)
e all'aria
aperta,
meno
claustrofobico
e cinefilo
e più
libero
e personale
(ci
sono,
infatti,
molte
delle
maniere
ferrariane
e segni
inequivocabili
di autorialità:
la prima
inquadratura
dal
basso
verso
l'alto,
la colonna
sonora
più
francese
della
storia
del
cinema
italiano,
Françoise
Hardy...).
Luciana
Littizzetto,
Neri
Marcorè,
Donatella
Finocchiaro
e Dino
Abbresciai
sono
un quartetto
d'archi
affiatato.