LA SCHIVATA
 

recensione la schivata

 
Banlieue di Parigi, gruppo di ragazzi in un esterno. Per amore di Lydia, Crimo cerca di avere la parte di Arlecchino nella recita scolastica tratta da Marivaux. Ci riesce, ma poi è impacciato e paradossalmente, vista la maschera, "incolore". Intanto, sul palcoscenico della vita, incroci, sproloqui, contaminazioni: ragazzini e ragazzine beur che giurano "sul Corano della Mecca", sinofrancesi di prima generazione, sbirri incattiviti dai luoghi, refurtiva e droga, "l'odio" che impregna l'ambiente. Signori, un film straordinario. Libero. Sincero e appassionato come 'L'eau froide' di Assayas, rigoroso e "etico" come 'Loin' Téchiné. Veramente il titolo mancante, in quest'epoca di "magra", per riconciliarsi con il cinema. Quella di Abdellatif Kechiche è una camera stylo che racconta con pudica forza i suoi personaggi, applicando una  
 
poetica "alta" (Marivaux: è il condizionamento sociale a rendere schiavi di un ruolo e di un ambiente) a un contesto terribilmente "basso". La banlieue, la frontiera, la 'darkness on the edge of town' dove i destini sono (già) segnati. Senza didascalismi, retorica o quant'altro, tutto in stato di grazia a partire dai due protagonisti. Il doppiaggio eccede in romanesco ma è inutile accanirsi Questa volta era impresa ardua.  
(di Mauro Gervasini - Film TV)
 
 
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