SCHEGGE DI APRIL
 

schegge di april recensione

 
Il cinema indipendente americano è sempre stato una risorsa preziosa. Spesso lezioso e inconcludente, con il digitale ha saputo sviluppare i suoi difetti e i suoi pregi. In questo caso, nel bel film con cui debutta alla regia Peter Hedges - autore anche di soggetto e sceneggiatura -, abbiamo un bell’esempio delle tante opportunità che offre. Agli attori, agli autori e agli spettatori. Il regista è uno sceneggiatore e scrittore di grande livello. Assurse agli onori della cronaca quando, nel 1993, sceneggiò 'Buon compleanno Mr. Grape', tratto dal suo libro omonimo. Ottimo film con interpretazioni magistrali di Johnny Depp e Leonardo di Caprio. Parecchi anni più tardi è invece una commedia romantica, di stampo “familiare”, a valorizzarne le doti, l’adattamento cinematografico di 'About a boy' di Nick Hornby. La pre-  
 
messa sta a ricordare l’abilità e la sensibilità artistica e personale di un autore capace. Il film non è un capolavoro. Ma non vuole esserlo, vuole essere una storia ben raccontata che si insinua nello spettatore coinvolgendolo con grazia. Ci riesce. Il film è costruito su una struttura solida ed elementare, senza strafare. La trama percorre un binario parallelo. April Burns, la protagonista interpretata da Katie  
Holmes, decide di invitare alla festa del Ringraziamento la sua famiglia, con cui i rapporti sono profondamente deteriorati. Un nuovo amore e una nuova determinazione le danno una più profonda consapevolezza di sé. Vuole provare a riempire l’abisso presente soprattutto con la madre, afflitta da un male incurabile. Affrontare questo invito per tutti sarà un passo difficile e tormentato. Da una parte la volontà di non avere rimpianti, dall’altra la paura di accumulare ancora brutti ricordi. Così nasce un film che commuove e fa sorridere. April alle prese con il pranzo e il pollo e con un forno che non funziona e un’odissea nel suo condominio, più acquario che comunità. La sua famiglia in un viaggio tormentato con un padre pieno di buone intenzioni e debolezze, il bravo e delicato Oliver Platt, una sorella insicura e rivale, un fratello alienato e fotografo, una nonna svanita ma caustica. E, soprattutto, un’eccezionale Patricia Clarkson. Una madre rigida, incattivita dalla malattia, con parvenze di goffa umanità. Imprevedibile e intensa. Sarà lei a far sì che questi due binari paralleli si uniscano, dopo aver remato contro per circa 80 minuti. In un finale bello e visivamente ben congegnato. Un film ben scritto, con una serie di personaggi ben caratterizzati che, però, non cadono nella banalità. Un occhio registico sensibile e discreto ci accompagna in un doppio viaggio lasciandoci il tempo di abituarci agli ambienti, ai caratteri, alla storia semplice e complessa allo stesso tempo e di perdonargli la capacità di toccare nervi scoperti in molti di noi. Davvero brava la Holmes, finalmente bella e priva di stereotipi. Nella recitazione e nel personaggio. Da segnalare, tra le curiosità, il cameo dell’irresistibile Sean Hayes, il famoso Jack McFarland di 'Will & Grace'. Ci uniamo, quindi, alla standing ovation tributata all’opera al Sundance Film Festival del 2003 – cosa hanno aspettato a distribuirlo? Temiamo, con paura, l’arrivo di Batman – tenendo d’occhio un regista che potrebbe dare grandi soddisfazioni. E a cui riconosciamo un dono troppo spesso sottovalutato e trascurato. L’essenzialità e la sintesi. Non a caso il film ha un formato classico di un’ora e venti ed è stato girato in soli 16 giorni.

(di Boris Sollazzo)

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