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Sauvage
Innocence conferma
Philippe Garrel
come un maestro. Qui, con
la fotografia del grande
Coutard
e in vicinanza-lontananza
dai capolavori della Nouvelle
vague, Garrel parla
di cinema, di società,
di morale, parla di ambiguità
dell'arte praticata addosso
agli attori-personaggi e
di un'arte che si da per
legge solo quella di seguire
la propria ossessione, la
propria malattia. Il regista
che nel film Sauvage innocence
gira un film che si intitola
Sauvage innocence, sa bene
che nel suo atteggiamento
verso il cinema e verso
la protagonista-amante che
recita la parte di una sua
amante morta per droga,
non c'è niente di
innocente, e se selvaggeria
c'è, essa è
nella congiunzione di una
brutalità economica
(il suo film "anti-eroina"
può farlo solo perchè
ha un produttore che lo
finanzia solo in cambio
di due viaggi di droga: |
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ma
chi paga gli artisti, nella
società contemporanea,
in tutte le società,
se non i ricchi e i potenti,
i cui denari grondano sudore
o sangue altrui?) e di una
brutalità personale,
del cinismo di chi usa gli
altri per i suoi fini, in
questo caso il "suo"
film e la soddisfazione
della sua ossessione, che
non sarà catartica
per nessuno e neanche per
lui. Garrel ci trascina
freddamente nel cuore di
una problematica che altri
dimenticano, che gli appartiene
in profondità, che
sa farsi, ambiguamente,
amaramente arte. Finalmente
una riflessione
sul cinema da artista
e non da mercante.
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