“Salvador Allende
ha segnato la mia
vita. Non sarei cio’
che sono se egli non
avesse incarnato quell’
utopia di un mondo
piu’ giusto
e piu’ libero”.
Parola del regista
cileno Patricio Guzman.
Nato nel 1941, gli
studi alla scuola
ufficiale dell’
arte cinematografica
a Madrid, e’
autore di 13 documentari
sulla storia contemporanea
del suo paese. Un
interesse costatogli
l’ esilio a
Parigi (quindi in
continuita’
emotiva e logica anche
la scelta di affidare
il commento musicale
di questo suo ultimo
lavoro Salvador Allende
ad altri impegnati
artisti dell’
esilio, gli Inti Illimani).
Utilizzando immagini
e filmati d’
archivio insieme ad
interviste a militanti
della sinistra, lavoratori,
persone che hanno
conosciuto e frequentato
il Presidente (affettuosamente
soprannominato “chicho”),
Guzman ne ripercorre
la parabola fino agli
ultimi momenti nel
palazzo
della
Moneda
bombardato
dai
golpisti.
E di
quella
fine
dice:
“il
suo
suicidio
non
fu disperato,
ne’
romantico,
fu un
atto
realista
che
ci mostra
che
la politica
non
deve
inchinarsi
di fronte
all’
impossibile”.
La piccola
folla
interpellata
da’
vita
ad un
ritratto
commosso
e articolato.
Così
scopriamo
che
Allende
ammirava
il nonno
massone,
creatore
della
prima
scuola
laica
cilena.
Fin
da piccolo
faceva
discorsi,
inventava,
era
persuasivo
e simpatico.
Ebbe come
maestro un
calzolaio
anarchico,
diventò
medico e cofondatore
di un Partito
Socialista
non allineato
con Mosca.
Ispirato ai
princìpi
della Rivoluzione
Francese,
vissuto per
sei mesi nella
Cina di Mao,
con in testa
una politica
mossa da un’
integrita’
morale che
garantisse
pane e giustizia,
fu rivoluzionario
e democratico
al tempo stesso,
cercando un
via pacifica
al socialismo.
La sua vita
rimane legata
soprattutto
ad una tenace
campagna elettorale
lunga 20 anni
e 4 candidature,
durante la
quale percorse
il paese in
lungo e in
largo perlopiu’
per parlare
con la gente.
Nel settembre
1970 finalmente
la vittoria
e la presidenza
della repubblica
con importanti
riforme, dalla
fine del latifondismo
attraverso
l’ assegnazione
delle terre
ai contadini
alla nazionalizzazione
delle grandi
imprese e
delle fonti
energetiche.
Poi, nel primo
anniversario
di governo,
la visita
di Fidel Castro
e l’
inizio di
un rapporto
privilegiato
con Cuba.
Decisamente
troppo per
l’ amministrazione
statunitense,
in pieno furore
anticomunista.
Nixon - che
chiamava Allende
“bastardo”
e/o “figlio
di puttana”
– decise
di strozzare
economicamente
il Cile, elargire
fondi all’
opposizione,
affidare il
lavoro sporco
alla CIA di
Kissinger
(come l’
uccisione
del comandante
in capo dell’
esercito Schneider,
fautore del
non intervento
dei militari
in politica).
Si determino’
un clima da
golpe, tra
le paure della
classe media,
le bombe dell’
estrema destra,
le divisioni
a sinistra,
gli scioperi
(foraggiati
dal blocco
avverso) come
quello imponente
e prolungato
di 70 mila
camionisti
che paralizzo’
quasi il paese.
E Allende,
in un applauditissimo
intervento
all’
ONU, denuncio’
l’ ostilita’
di USA e multinazionali
fuori da ogni
controllo.
Tra i suoi
sostenitori
c’e’
chi gli rimprovera
invece l’
essersi appoggiato
ai militari
- fatale ad
esempio la
designazione
di Augusto
Pinochet al
ruolo che
fu di Schneider
- e non alla
classe operaia,
con la conseguente
mancata organizzazione
di milizie
popolari nonostante
l’ appoggio
di cui egli
godeva (l’
incitamento
piu’
frequente
era “Allende,
el pueblo
te defiende”).
Oppure la
decisione
della resistenza
ad oltranza
invece di
rifugiarsi
in qualche
ambasciata
(“un
coraggioso,
ma ci serviva
piu’
da vivo. Per
la dittatura
sarebbe stata
piu’
dura”).
Il colpo di
stato, dopo
3 anni di
presidenza,
fu un monito
al mondo.
Compresa l’
Italia, dove
era appena
iniziata la
stagione della
strategia
della tensione,
il piu’
grande Partito
Comunista
occidentale
si stava ponendo
la questione
del potere
e i gruppi
extraparlamentari
quella dell’
uso della
forza (coniando
lo slogan
“Cile,
mai piu’
senza fucile”).
In patria,
i 17 anni
della dittatura
di Pinochet
rappresentarono
anche una
rimozione:
Allende fu
sepolto in
una tomba
senza nome,
la sua casa
ora ospita
un’
ospizio (“uno
spazio di
amnesie”),
non esiste
una sua biografia.
Per cui, dal
documentario
di Guzman
- in cui si
ripete che
“il
passato non
e’ passato”
- un contributo
alla memoria.