ROBOTS
 

recensione robots

 
Nonostante il pubblico sia ormai avvezzo al trionfo della tecnologia nei cartoni animati, Robots mantiene intatta la capacità di stupire lo spettatore, inevitabilmente affascinato dalla potenza di trovate visive straordinarie. Il protagonista, Rodney, è un robot-figlio-modello, che si reca a Robot City per metter in luce il proprio talento di inventore e guadagnare abbastanza da permettere al padre malato di curarsi (ossia di procurarsi i necessari pezzi di ricambio). I sogni del giovane robot si infrangono bruscamente: nella fabbrica modello di Bigweld, inventore e filantropo, non si accolgono più le nuove idee per metterle al servizio di tutti. I malvagi Big Weld e sua madre hanno relegato lo scienziato in una prigione dove resta isolato senza reagire all’ingiustizia, intento solo a creare interminabili percorsi con le tessere di  
 
domino. Bigweld intende ottimizzare la produzione, mettendo fuori legge e condannando alla morte per... rottamazione tutti i robot vecchi, dopo aver proibito la fabbricazione dei pezzi di ricambio. Il compito di Rodney sarà di liberare i robot, dando a tutti la possibilità di continuare a vivere, e di far sì che la fabbrica torni a esser una fonte di possibile realizzazione di idee, dalle più bizzarre alle più ge-  
niali. Perché tutti sono degni di essere ascoltati e di sentirsi parte di qualcosa. Le frecciate contro il consumismo sfrenato della civiltà moderna si appoggiano visivamente ad alcune magnifiche scene in cui i vecchi robot, smontati dagli automi al servizio dei cattivi, sono condotti verso un grande forno per esser fusi. Sembra un richiamo alle celebri sequenze di Tempi Moderni di Charlot. Tra i personaggi, si distinguono per vivacità e originalità lo strampalato Fender e la madre di Bigweld, diabolica virago in ferro e bulloni dall’aspetto mascolino, mentre appare spento proprio il protagonista, Rodney, sicuramente non aiutato dal fastidiosissimo doppiaggio di Dj Francesco.... Il messaggio è che tutti debbano avere le stesse possibilità di dare corpo ai propri sogni e di stare al mondo, senza essere accantonati in nome del discutibile valore della bellezza esteriore o della giovinezza. Dal punto di vista squisitamente formale, il risultato conseguito, come profondità e iper-realismo delle immagini, è stupefacente. Tuttavia il ritmo vorticoso e la velocità di sequenze che investono lo spettatore finiscono per stordire, e il susseguirsi vertiginoso di invenzioni e di effetti risulta persino eccessivo. Eppure l’immagine del surf sulle onde di tessere del domino entra di diritto nell’olimpo delle scene indimenticabili dei cartoni degli ultimi anni.(di Margherita Sanjust di Teulada )
 
 
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