Sfoggio di oggettistica
d’antan con
scarpe trendy, spreco
di cartonati anni
‘70 e telefonino
con suoneria recitata
da Bombolo, che rivive
i (ne)fasti di Er
Venticello nel figlio
Tramezzino, Enzo Salvi,
ecco descritto il
ritorno del Monnezza.
Rocky, (Claudio Amendola)
prole degenere dell’ispettore
Nico Giraldi, corredato
da immancabile papalina
tricottata e kajal
nero sotto agli occhi,
sguazza bislacco nella
trama afona e cantata
sin dall’inizio
ché i cattivi
sono nelle stanze
dei Buoni collusi
coi ricconi e i politici.
Ggente ‘nfame.
Ci scappa il morto,
si prende la colpa
il poliziotto trucido,
finisce in prigione
mazziato a dovere
dai detenuti che ha
fatto finire al gabbio
e niente di meglio
che evadere buttandosi
nella pattumiera,
aiutato a risolvere
il caso dalla collega
bona e intelligente.
Non che da un film
del genere ci si aspetti
qualcosa di dive-
rso
dalla
classica
vanzinata
verbalmente
espressa
con
prolungato
e prevedibile
uso
del
turpiloquio
(le
parolacce
possono
far
ridere
o infastidire,
qui
assestano
il colpo
di grazia
all’attenzione)
ma chisseneimporta
davvero
della
dietrologia
riabilitativa
che
cova
sotto
l’ipocrita
etichetta
del
trash?
Er Monnezza
l’originale,
Bud
Spencer
e Terence
Hill
o Renato
Pozzetto
e Co.
eccetera
eccetera
sono
quello
che
sono:
intrattenimento
rumore, deriva.
Evitate come
la peste bubbonica
questo requiem
soporifero
e cullatevi
le vostre
debolezze
cinefile in
altre visioni,
pena li mort…
tua.