IL RITORNO DEL MONNEZZA
 

recensione

 
Sfoggio di oggettistica d’antan con scarpe trendy, spreco di cartonati anni ‘70 e telefonino con suoneria recitata da Bombolo, che rivive i (ne)fasti di Er Venticello nel figlio Tramezzino, Enzo Salvi, ecco descritto il ritorno del Monnezza. Rocky, (Claudio Amendola) prole degenere dell’ispettore Nico Giraldi, corredato da immancabile papalina tricottata e kajal nero sotto agli occhi, sguazza bislacco nella trama afona e cantata sin dall’inizio ché i cattivi sono nelle stanze dei Buoni collusi coi ricconi e i politici. Ggente ‘nfame. Ci scappa il morto, si prende la colpa il poliziotto trucido, finisce in prigione mazziato a dovere dai detenuti che ha fatto finire al gabbio e niente di meglio che evadere buttandosi nella pattumiera, aiutato a risolvere il caso dalla collega bona e intelligente. Non che da un film del genere ci si aspetti qualcosa di dive-  
 
rso dalla classica vanzinata verbalmente espressa con prolungato e prevedibile uso del turpiloquio (le parolacce possono far ridere o infastidire, qui assestano il colpo di grazia all’attenzione) ma chisseneimporta davvero della dietrologia riabilitativa che cova sotto l’ipocrita etichetta del trash? Er Monnezza l’originale, Bud Spencer e Terence Hill o Renato Pozzetto e Co. eccetera eccetera sono quello che sono: intrattenimento  
rumore, deriva. Evitate come la peste bubbonica questo requiem soporifero e cullatevi le vostre debolezze cinefile in altre visioni, pena li mort… tua.

(di Daniela Losini)

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