Una ballerina, Ada
(Claudia Zanella,
eterea spiritata)
bambina dannata da
un segreto opprimente,
una sorella amorevole
e scontrosa, Giorgia
(Angela Baraldi, lucente
presenza ruvida) e
a chiudere, un padre
refrattario a ogni
pungolo d’affetto
costituiscono il nucleo
di una famiglia distrutta
da una perdita ingestibile.
Da adulta, la ballerina
con velleità
d’attrice, diverrà
tragica merce di scambio
con il nulla suicidandosi
inspiegabilmente e
l’imbronciata,
che invece non ama
gli orpelli né
la fiction, un’investigatrice
privata al servizio
dei sospetti altrui.
Una scatola dei ricordi
riporta a galla il
passato e i frammenti
mancanti del puzzle
cominciano a scoprirsi.
Spuntano storie e
facce legate alla
sorella scomparsa,
un uomo misterioso,
segreti e bugie, dimenticanze
e psicologicamente
si esplora oltre il
clichè della
dannata pos-
seduta
dai
sogni.
Si percorre
l’ingrata
strada
dei
crimini
bianchi:
quelli
dei
silenzi,
delle
omissioni,
delle
rimozioni.
La morte
cammina
accanto
ai protagonisti
sussurrata,
accennata,
esibita
silente
o implacabile
e il
dolore
della
perdita
torna
sempre
nonostante
la sospensione
che
il quotidiano
può
offrire
e nel
quale
s’innesta
l’intreccio
amoroso
della
viva
Giorgia
col
fragile
e simpatico
professor
Berti
(Gigio
Alberti,
credibile
e
sincero),
forse non
così
estraneo alla
vicenda. Salvatores
confeziona
con coraggio
un noir dell’anima
denso e avvolgente
dipingendo
immagini poetiche
(il volo coreografico
degli uccelli,
l’uso
di luci calde
e fascianti
sui corpi
come abiti
da sera, il
bambino vestito
da scheletro,
gli “occhi”
sul futuro
delle videocassette)
e ritratti
di umane solitudini
in perenne
cerca di quiete
e risposte
a interrogativi
drammatici.
Suggerisce,
spinge a riflettere
e insinua
che sì,
sappiamo cosa
è giusto
fare ma che
spesso (sempre?)
agiamo prigionieri
della paura
e dell’egoismo
siano propri
o figli di
esperienze
distruttive
come il lutto
dell’anima
o del corpo.
A ognuno la
propria sentenza,
a ognuno il
proprio dubbio.
La verità
forse, sta
nella pace
coi fantasmi.
Digradando
in dissolvenza,
scorrono gli
ultimi minuti
della pellicola
e - ironia
paradossale
- dall’insopportabile
può
succedere
d’essere
salvati proprio
da ciò
che non tolleriamo.