La provincia è
quella di Ravenna.
Meccanica perché
quella operaia delle
fabbriche, del porto
e delle raffinerie.
Periferia grigia colorata
dai fumi delle ciminiere.
Marco e Silvia: lui
lavora di notte come
carrellista; lei accudisce
casa e bambini (beh,
si fa per dire…).
Vivono a modo loro,
senza inseguire sogni
di gloria, senza aspirare
ad un’esistenza
migliore, in un appartamento
dall’entropia
crescente, emblema
delle loro vite che
bastano a se stesse,
prive di modelli di
riferimento o categorie
estetiche imposte
a cui tendere. L’importante
sono loro, stare bene,
essere felici, vivere
alla giornata. Un
ordine raggiunto in
mezzo al caos più
totale, un equilibrio
conquistato che funziona
e regge, almeno fino
a quando un elemento
esterno non si insinua
in questo loro mondo
chiuso e lo manda
in frantumi. Che ognuno
viva come vuole,
per
carità!
Certo
che
a non
mandare
i figli
a scuola
ci sarebbe
da aspettarselo
che
un qualche
assistente
sociale
prima
o poi
si faccia
vivo
...
Stefano
Mordini,
passato
da documentarista,
qui
al suo
esordio
cinematografico,
si dimostra
narratore
di razza:
focalizza
il suo
obbiettivo
su una
realtà
difficile
e poco
frequentata
dal
cinema
d'oggi
giorno,
la dipinge
con
stile
fortemente
realista,
la racconta
dal
punto di vista
esclusivo
dei suoi due
protagonisti,
evitando volutamente
gli ingorghi
della politica
tra lotte
di classe
e conquiste
sindacali.
Non un ritratto
di verismo
sociale (anche
se la descrizione
d’ambiente
è potente)
ma un film
di persone,
di scelte,
di vite ai
margini in
rotta di collisione.
Marco e Silvia,
due outsider
dalle personalità
complementari
e contrarie,
tanto risoluto
e determinato
lui quanto
insicura e
fragile lei,
entrambi disperatamente
bisognosi
uno dell’altra.
Unico film
italiano in
concorso al
festival del
cinema di
Berlino, con
lo scorrere
della pellicola
succede però
di sentire
talvolta la
sceneggiatura
scricchiolare
(lui che si
accorge del
tradimento
di lei solo
dai capelli
rossi del
neonato) sotto
il peso di
una seconda
parte di film
in cui la
coerenza di
base si sfilaccia
in sottotrame
dall’intreccio
non sempre
chiaro, fino
a culminare
nel più
improbabile
dei finali.
Corre Accorsi,
unico attore
che ci prova
gusto nell’invecchiarsi
e imbruttirsi,
corre incalzato
da una colonna
sonora rockeggiante,
tutta ritmo
e sentimento,
corre sprizzando
proletariato
da tutti i
pori, sfinito
dopo aver
ritrovato
casualmente
l’amore
(una Valentina
Cervi di intensa
veracità),
con indosso
un pettorale
non suo, nella
notte, senza
una meta.
Una corsa
liberatoria
a perdifiato
pensando forse
a come è
strana la
vita. E mentre
noi restiamo
a guardare.
(di Mirko
Nottoli)