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recensione la
porta delle 7
stelle
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Regista, tra l’altro,
di Verso Sud (1992)
e della mini-serie
televisiva La vita
che verrà (1999),
Pasquale Pozzessere,
classe 1957, torna
dietro la macchina
da presa con La porta
delle 7 stelle, prodotto
da lui stesso con
la collaborazione
di Renata Rainieri
e di cui il co-sceneggiatore
Ugo Leonzio dice:
“L’idea
iniziale era quella
di portare sullo schermo
una storia d’amore
estrema, creare la
simmetria tra due
affetti congelati”.
Attraverso una struttura
narrativa tutt’altro
che classica, in cui
presente e passato
si mescolano ripetutamente,
ci viene raccontata
la vicenda di David,
pilota di grande talento
e capo di una squadriglia
di piloti dell’Aviazione
Militare Italiana,
il quale visse da
bambino in India,
con il padre addetto
militare all’Ambasciata
e la madre antropologa.
Proprio lì
David, che allora
sembrava particolarmente
portato |
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per
il pianoforte,
rimase sconvolto
in seguito
al ritrovamento
del cadavere
della genitrice,
violentata
e decapitata
probabilmente
durante un
rito tribale,
e, tornato
in Italia
con il padre,
pur riuscendo
a superare
il profondo
trauma e riprendendo
gli studi
al Conservatorio,
decise, inspiegabilmente,
di abbandonare
per sempre
quella che
si prospettava
essere una
carriera di
grande concertista.
Ma l’improvvisa
morte del
papà
lo spinge
anche a rinunciare
a quella militare,
ed inizia
quindi a lavorare
come pilota
per Raimondo,
ricchissimo
finanziere,
il quale lo
incarica,
insieme alla
bellissima
amante Arianna,
di recarsi
in una città
balcanica
dove devono
gestire le
operazioni
di Pradip,
geniale hacker
indiano tredicenne,
di cui l’uomo
si serve per
i suoi affari.
David stringe
però
amicizia con
il ragazzino,
che lo instrada
nei segreti
del business
via Internet;
lascia quindi
il suo lavoro
per Raimondo
e si mette
in affari
da solo, diventando
in poco tempo
molto ricco.
Inoltre, Arianna
gli racconta
del suicidio
del padre,
avvenuto davanti
a lei, e la
simmetria
del loro dolore,
del trauma
che hanno
subito, si
rivela essere
la chiave
della forte
attrazione
che li unisce,
all’interno
di una vicenda
che coinvolge
anche armi
batteriologiche,
traffico di
organi, truffe
con fondi
destinati
ad associazioni
umanitarie
ed il Barone
Glesingher,
braccio destro
di Raimondo,
amante del
gioco pesante
ed ormai caduto
in disgrazia.
“Infiniti
sono i modi
in cui può
nascere una
storia d’amore,
ma altrettanto
infiniti,
imprevedibili
e misteriosi
sono quelli
che la fanno
vivere. A
volte quello
che attrae
fatalmente
due persone
in una passione
amorosa è
la parte più
oscura e segreta
della loro
vita. David,
il protagonista
di questa
storia, è
idealmente
ispirato al
Siddharta.
E’ un
uomo di successo,
ha un talento
particolare
che si applica
con risultati
eccezionali
alle attività
più
disparate.
E’ giovane,
colto, attraente.
Al centro
della sua
vita c’è
un buco che
forse ha rimosso,
la morte tragica
di sua madre,
una famosa
antropologa
morta assassinata
in India,
dove il piccolo
David ha trascorso
parte della
sua infanzia”.
Così
Pasquale Pozzessere
parla della
sua ultima
fatica, che
prende il
titolo dall’albergo
in cui il
protagonista,
da bambino,
alloggiava
in India durante
i periodi
di vacanza,
al cui centro
troviamo,
parallelamente,
il denaro
e l’amore:
la necessità
di amare,
di essere
amati e di
saper amare.
Non a caso,
uno dei personaggi
commenta:
“Il
denaro è
come l’amore:
è bello
perché
non serve
a niente”.
Girato con
eleganza ed
impreziosito
dalla bella
fotografia
di Bruno Cascio,
attivo soprattutto
in televisione
(Linda e il
brigadiere,
tanto per
citare un
titolo), La
porta delle
sette stelle,
che si avvale
anche della
presenza del
compianto
Mario Scarpetta,
se in un primo
momento può
suscitare
un certo interesse
nello spettatore,
assume a lungo
andare, purtroppo,
i ritmi di
una soporifera
ed interminabile
soap-opera,
penalizzato
soprattutto
dall’infinità
di dialoghi
che cercano
di far emergere
a tutti i
costi un contenuto
filosofico
(perfino nelle
sequenze di
sesso!), finendo,
paradossalmente,
per risultare
soltanto grotteschi.
E non aiuta
certo la scarsa
recitazione
di Stefano
Dionisi e
Sabrina Colle,
compagna di
Vittorio Sgarbi,
la quale tira
fuori il meglio
di sé
quando ci
mostra le
sue grazie.
(di Francesco
Lomuscio)
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