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"Passo a due"
di Andrea Barzini
si inserisce malamente
in un filone che da
qualche anno domina
ad Hollywood: il dance-film
(da "Flashdance"
a "Save the last
dance"...solo
per citare i più
famosi). La storia,
salvo poche modifiche,
è sempre la
stessa: i grandi sacrifici,
i contrattempi, le
incomprensioni e ostilità
varie, le cocenti
delusioni prima di
poter coronare il
sogno di una vita,
diventare un grande
ballerino o ballerina
e il tutto contorniato
dall'immancabile storia
d'amore più
o meno contrastata.
Anche qui abbiamo
un protagonista che
nonostante varie disavventure
e sostenuto dalla
grande passione per
la danza trova la
forza di combattere
e raggiungere la meta
di tutta una vita.
Vi è però
una novità:
il giovane è
un immigrato albanese
senza permesso di
soggiorno. L'idea
di partenza (dovuta
a |
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quel
volpone di
Maurizio Costanzo)
è senz'altro
buona ma chi
si aspetta
la trattazione
(anche solo
accennata)
di un grave
problema sociale
come quello
dell'immigrazione
o un accenno
minimo al
ritratto di
un'Italia
ben diversa
da come appare
dalla televisione
vista in Albania,
rimarrà
deluso. E'
solo una favola
all'acqua
di rosa, con
la macchina
da presa quasi
perennemente
puntata su
Kledi Kadiu,
superficiale,
risaputa e
con una sceneggiatura
piuttosto
piatta e dall'assoluta
prevedibilità.
Un prodotto
televisivo
(e neanche
buono) più
che un film
degno delle
sale cinematografiche,
e per di più
con una regia
che si perde
in ricercatezze
di immagini
e cromatismi
di derivazione
pubblicitaria
che sono solo
vuote e del
tutto |
inutili
esercitazioni
stilistiche
(il linguaggio
dei video
musicali impera).
Le musiche
non brillano
per originalità,
i balletti
sono di tipico
stampo televisivo
(e "scopiazzano"
maldestramente
"A chorus
line",
"All
that jazz"
e simili),
l'ambientazione
completamente
falsa. Tutto
molto edulcorato,
compresi i
drammi e le
passioni,
una "soap-opera"
che forse
in tv avrà
un certo successo
(anche perché
bisogna ammettere
che Kledi
Kadiu è
piuttosto
accattivante).
p.s. Ma il
cinema italiano
pensa veramente
che per superare
la sua crisi
debba rincorrere
il pubblico
televisivo
e imitare
le varie "telenovelas"?
(di Leo
Pellegrini)
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