A Berlino venne presentato
“Provincia Meccanica”,
film di rara bruttezza.
Abbiamo (purtroppo)
visto tutti come è
andata a finire. I
distributori italiani
sembrano essersi avveduti,
e a Cannes, insieme
al più blasonato
film di Giordana,
presentano questa
piccola e interessante
produzione della Fandango,
“L’orizzonte
degli eventi”.
L’accoppiata
Daniele Vicari alla
regia / Valerio Mastrandrea
sul set l’avevamo
lasciata dopo la non
esaltante prova di
“Velocità
massima”, che
pure si era segnalata
ai David come miglior
regia di un esordiente.
La riprendiamo a distanza
di cinque anni con
un film gradevole,
che, grazie ad una
coraggiosa (seppur
un po’ improbabile)
doppia sterzata nella
seconda parte si slega
un po’ da quell’aria
stantia, tipica di
un certo modo italiano
di fare film, che
rischiava di avvilupparlo
fino a farlo morire
del tut-
to.
Vicari
ha invece
il coraggio
di cambiar
pagina,
mutare
registro,
e slega
la prima
parte,
figlia
di una
descrizione
sempre
più
monocorde
e priva
di idee
della
società
italiana
in genere
e dei
rapporti
interpersonali
nello
specifico,
da una
seconda,
che
matura
alla
luce
di silenzi,
di sguardi,
di introspezioni
per
nulla
banali
né,
tanto
meno,
raccontate.
E la
svolta
(nella
svolta)
finale
rende
emblematica
la scelta
di un
destino,
sotto
un
certo
punto di vista
profondamente
umano e comprensibile,
ma che comunque,
grazie anche
all’incisività
di un rapidissimo
montaggio
in parallelo,
rimane inaccettabile,
frutto di
un germe,
oserei dire,
quasi sbagliato.
La piccolezza
e la pochezza
di un uomo
vengono messi
alla prova
più
e più
volte durante
il film. Merito
del regista
(e dello sceneggiatore)
è di
non giudicare,
non assurgere
a vacui moralismi,
ma osservare
seguendo con
la macchina
da presa,
facendo uso
discreto e
accorto del
montaggio,
non estremizzando
i tagli né
lasciandosi
andare a voli
pindarici.
Bravo, anche
se sembra
a momenti
un po’
spaesato,
Mastrandrea,
che si ritrova
in un ruolo
poco “suo”,
privo del
tutto di quell’ironia
amara e popolaresca
che da sempre
lo contraddistingue.
Un prodotto
che, con tutte
le sue fatiche
e le sue pecche,
merita di
trovare un
posto sul
palco di un
cinema italiano
così
spesso non
all’altezza
di sé
stesso.