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ORE
11:14 - DESTINO FATALE |
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Interessato a scomporre
nei minimi particolari
un istante nel flusso
del tempo, il ventottenne
Greg Marcks, autore
di otto cortometraggi
(uno dei quali, 'Lector',
vinse uno Student
Academy Award), iniziò
a scrivere, appena
terminati gli studi
universitari di cinematografia,
la sceneggiatura di
quello che sarebbe
poi diventato il suo
primo lungometraggio,
'11:14', ribattezzato
in Italia con il titolo
'11:14-Destino fatale'.
Interpretato dalla
vincitrice del Premio
Oscar Hilary Swank
(anche co-produttrice
esecutiva del film),
in un certo senso,
vista la tragica situazione
in cui si trovano
coinvolti i diversi
protagonisti, ricorda
molto da vicino i
due raccapriccianti
capitoli di 'Final
destination', i quali
ci hanno insegnato
che è praticamente
impossibile sfuggire
al proprio destino.
Dopo i titoli di testa
che, come automo- |
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bili,
percorrono
una strada
ripresa a
piombo, vediamo
Henry Thomas,
l’Elliott
adulto di
'E.T. L’extraterrestre',
che, mentre
ascolta, guidando
la sua macchina,
'I just want
to have something
to do' dei
Ramones, investe,
alle ore 11:14
della sera,
un giovane
passante.
Fin dall’arrivo
di un bizzarro
agente di
polizia, ci
accorgiamo
che il tono
della vicenda
è volutamente
grottesco,
e, come una
bomba ad orologeria,
s’innesca
un meccanismo
che, senza
lasciare mai
un attimo
di tregua
allo spettatore,
genera una
reazione a
catena di
situazioni
assurde, tanto
quanto i loro
protagonisti,
in realtà
tutte legate
da un elemento
in comune:
le 11:14.
Quindi, tra
mortali incidenti
stradali,
Patrick Swayze
intento a
nascondere
un cadavere,
una coppia
impegnata
ad intraprendere
un rapporto
sessuale all’interno
di un cimitero
ed una commessa
ferita nel
corso di una
sparatoria,
Marcks, da
bravo film-maker
cresciuto
nel mondo
dei cortometraggi,
ci trasporta
in un tour
de force notturno
che, nonostante
le premesse,
non ha nulla
di soprannaturale,
ma presenta
più
che altro
una ragionata
e fantasiosa
rilettura
della realtà,
tra equivoci
e violenza,
associabile
all’assemblaggio
di diversi
coinvolgenti
shorts, strizzando
l’occhio
in parte a
'Memento',
in parte,
e soprattutto,
agli stravolgimenti
cronologico-narrativi
dell’enfant
terrible Quentin
Tarantino.
E dal regista
di 'Pulp fiction'
sembra aver
appreso anche
la capacità
di attirare
lo spettatore
con dialoghi
e momenti
tragici, ma
allo stesso
tempo ironici,
tanto più
che gli argomenti
trattati toccano
alti livelli
di follia
(pensate che
coinvolto
c’è
perfino un
pene mozzato!),
e che diversi
dei protagonisti
siano estremamente
logorroici.
A tal proposito,
significativa
è la
dichiarazione
dell’autore:
“Quando
ho scritto
la sceneggiatura,
non mi sono
reso davvero
conto dei
suoi risvolti
‘oscuri’,
pensavo solo
che fosse
divertente,
bizzarro.
L’ironia
rappresenta
il mio modo
di vedere
il mondo...insomma,
il tizio che
resta ucciso
dalla macchinetta
di Pepsi mentre
cerca di riprendersi
il resto...ecco,
ho sempre
pensato che
cose di questo
genere fossero
insolite,
misteriose
e, in un certo
senso, buffe.
Il mio scopo
è stato
rendere reale
questa sensazione...la
vita è
fatta di momenti
fatali!”.
Con una ricca
colonna sonora
che accompagna
efficacemente
le diverse
sequenze,
in cui spicca
la 'These
boots are
made for walkin’'
di Nancy Sinatra
riletta da
Bree Sharp,
Marcks ci
conduce in
questa attraente
dark-comedy,
senza rinunciare
ad un sottotesto
vagamente
maschilista,
narrando di
invariabili
destini incrociati,
ed incuriosendoci
inquadratura
dopo inquadratura,
ma esagera
forse in contrasti
fotografici,
infastidendo
in parte la
visione con
quelle invadenti
ombre che
spesso non
rendono facilmente
identificabili
i volti; ma
a quanto pare
si tratta
di una scelta
voluta, in
quanto l’aspetto
del film doveva
risultare
il più
realistico
possibile.
Peccato poi
che il lungometraggio
tronchi bruscamente,
cancellando
l’ipotesi
della tanto
attesa sorpresa
finale, e
rivelandosi
come un semplice
esercizio
di stile.
Un ottimo
esercizio
di stile,
comunque.
(di Francesco
Lomuscio)
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