Rivelazione al Sundance,
Open Water,
interessante per varie
ragioni; la prima
è che è
realizzato a conduzione
familiare con un budget
irrisorio, girato
in digitala e praticamente
senza cast. La seconda
è che sa promuovere
i suoi punti forti
a partire dal fatto
che si tratta di una
"storia vera";
e la terza è
che questi punti vanno
a colpire il lato
oscuro che è
in ognuno di noi.
Innanzitutto la paura
dell'inconoscibile,
del buio, del pericolo
che ci circonda ma
non si vede; Open
Water lavora sui meccanismi
dell'inconscio in
modo pressochè
perfetto, lanciando
lo spettatore in un
vortice di angoscia
che diventa quasi
insostenibile. Gli
squali - quasi invisibili
- che si agitano nel
mare oscuro delle
Bahamas e che minacciano
la coppia di subacquei
dimenticata in mare
aperto durante un'escursione,
incarnano la metafora
di quanto accade oggi
nel
nel
mondo,
con
il terrorismo
che
si muove
intorno
a noi
ma senza
che
ci sia
concesso
sapere
quando
e dove
colpirà.
Ecco,
la forza
intrinseca
del
film
sta
nel
liberare
questo
terrore
cieco.
Ma quella
estetica?
Quella
non
c'è,
il film
non
esiste
da un
punto
di vista
narrativo
e tutto
il prologo,
sarà
anche
per
l'uso
del
digitale,
sembra
un inutile
orpello
così
come
i dialoghi
tra
i naufraghi
che
talvolta
sono
persino
comici
e che
ci
allontanano
dal vero scopo
del film:
misurare la
nostra paura.
(di Fabrizio
Liberti
- Film
TV)