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Innanzitutto un auspicio:
che il titolo sia
profetico per il regista
Tony Vitale, già
autore dei trascurabilissimi
'Jungle Juice', 'Very
Mean Man' e 'Kiss
me, Guido'. Siamo
di fronte ad una delle
peggiori pellicole
della stagione e ad
un autorevole candidato
ai Razzies (gli Oscar
ai peggiori) del prossimo
anno. E, per qualcuno,
forse, potrebbe scapparci
anche un riconoscimento
alla carriera. Tra
questi togliamo Chazz
Palminteri, per meriti
pregressi e citiamo
come alfiere Patrick
Cupo, a cui vanno
molte delle responsabilità
di quello che potrebbe
diventare un manuale
audiovisivo dal titolo
“Come NON va
realizzato un film”.
Ne è infatti
lo sceneggiatore,
l’attore principale
e il coproduttore.
Cerchiamo di spiegare
alcune incongruenze
abbastanza evidenti.
Perché mai
il regista de 'La
tigre e il dragone'
Ang Lee, qui produt- |
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tore
ed un attore
di livello
- non eccelso,
certo, ma
rispettabile
- come Palminteri
si cimentano
in una squallida
e triste,
nella trama
e nella realizzazione
- 'Febbre
da Cavallo'
in salsa melodrammatica?
La storia,
molto più
interessante
di quella
del film,
peraltro,
è una
classica vicenda
universitaria.
Patrick incontra
Ang alla New
York University
Film School.
Ne diventa
l’attore
feticcio.
Comprendiamo
il bravo regista,
era sconosciuto
e al primo
anno. Poi,
scrivono la
sceneggiatura
di 'Final
line', che
lancerà
lo scorbutico
Chazz, cugino
di Cupo. Visto
il film confermiamo
l’ipotesi
che i due
abbiano voluto
restituire
il favore
a Patrick.
La trama,
se mi passate
tale definizione
per un confuso
flusso di
immagini e
informazioni
supportate
da una sceneggiatura
inesistente
e scontata,
è tutta
incentrata
su Michael,
accanito scommettitore.
Ovviamente
il nostro
è italo-americano,
con moglie
rompiscatole
ma dolcissima,
un amico buono
e un po’
tonto –
quanta nostalgia
per Mandrake
e Pa- |
tata
- con strozzino
spietato al
seguito, Palminteri
appunto. Debiti
che crescono
esponenzialmente
spingono Michael
in un abisso
di debiti
e menzogne
con un padre
– interpretato
da Robert
Davi, coprotagonista
della serie
tv Profiler-
che neanche
da morto lo
lascia in
pace. E soprattutto
abdica al
ruolo classico
del defunto
italiano.
Infatti non
dà
numeri da
potersi giocare,
cavalli vincenti
o almeno lontane
premonizioni
rivelatrici.
Solo un suggerimento
petulante
su un presunto
Sistema- peraltro
mai svelato
durante tutto
il film a
differenza
di altre ovvie
svolte narrative-
e tanti insegnamenti
di vita surreali.
Si arriva
alla fine,
per fortuna
dopo soli
88 minuti,
comunque un’eternità,
che risolve
tutto in perfetta
coerenza con
la debolezza
e la banalità
della sceneggiatura.
In alcuni
casi film
così
sfortunati
si salvano
con buone
prove di attori,
belle colonne
sonore o umorismo
almeno involontario.
Qui non accade.
Neanche per
errore. Insomma,
un film da
non consigliare
nè
agli appassionati
di ippica
né
tantomeno
agli scommettitori
accaniti.
(di Boris
Sollazzo)
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