OLD BOY
 

old boy recensione

 
Ormai attivo nel cinema fin dal 1999, anno in cui diresse il cortometraggio Simpan, il regista coreano Park Chan-wook, che riconosce il suo maestro nello scomparso Kim Kiyong, ma che annovera tra i suoi autori preferiti Alfred Hitchcock e racconta di essere stato profondamente colpito, in gioventù, da 'Vite vendute' (1953) di Henri-Georges Clouzot, è uno di quei nomi attorno a cui, anche in Italia, si è creato un vero e proprio culto nell’oscuro sottobosco dei cinefili più esigenti, grazie a riuscite pellicole che mescolano dramma ed azione, come 'Joint Security Area' (2000) e 'Sympathy for Mr Vengeance' (2002). La Lucky red distribuisce ora nelle sale cinematografiche italiane 'Old boy', suo lungometraggio del 2003 che, tratto da un fumetto giapponese creato otto anni fa da Tsuchiya Garon e disegnato da Mineghishi Nobuaki, oltre  
 
a raccontare una estrema storia di riscatto, pone al centro della vicenda il tempo, a partire dai titoli di testa, i quali presentano caratteri che ruotano in senso orario ed altri che scorrono come i secondi negli orologi digitali. Choi Min-Sik (Ebbro d’amore e di pittura) è il padre di famiglia Oh Dae-soo, che, una sera del 1988, viene rapito, senza motivo apparente, e rinchiuso in una prigione privata, all’interno della quale tra-  
scorrerà quindici anni, per poi essere inaspettatamente rilasciato. All’interno di quella claustrofobica stanza, l’unico suo legame con il mondo esterno era rappresentato da un televisore, attraverso il quale venne a sapere di essere il principale indiziato dell’omicidio di sua moglie. Ora, tutta la rabbia interiore accumulata con il passare del tempo si è trasformata in una inarrestabile sete di vendetta nei confronti del suo misterioso rapitore, ma l’intento di Dae-soo, che intanto ha anche fatto conoscenza con Mi-do (Gang Hye-Jung), ragazza che lavora in un ristorante, non è soltanto quello di dare un volto all’ignoto personaggio, bensì di scoprire la motivazione del sequestro. “La vendetta in sé esiste perché non siamo riusciti a dimenticare il passato, quindi il rapporto tra questa ed i ricordi è di mutua esistenza, a meno che non si riescano a lasciare indietro i ricordi. In 'Old boy' il protagonista cresce fisicamente, ma rimane con l’animo nel passato, quindi non riesce a liberarsi del suo desiderio di vendetta”. Così Park Chan-wook definisce il profondo legame che intercorre tra i ricordi e la sete di vendetta, elementi principali presenti nel suo lungometraggio, che fonde efficacemente dramma interiore ed azione tinta di splatter, senza dimenticare l’immancabile ironia, tipica dei manga-movies, e che si prospetta essere il miglior film dell’anno. L’ottima sceneggiatura, scritta a tre mani dallo stesso regista in collaborazione con Hwang Jo-Yun e Lim Joon-Hyung, riesce a renderci pienamente partecipi, ed in maniera sofferta, di una triste vicenda intrisa di mistero, la quale si svela lentamente, passo dopo passo, facendo accrescere virtualmente anche in noi, insieme al protagonista, una incontenibile rabbia, che sfocia in insostenibili torture odontoiatriche e scontri d’arti marziali. Nonostante tutto, però, questa estrema esaltazione grafica della violenza non risulta mai gratuita, anzi, grazie probabilmente all’alto contenuto di realismo, appare tutt’altro che sadica e capace di spingere alla riflessione, piuttosto che volta al coinvolgente intrattenimento, a differenza di quell’ugualmente eccezionale, tarantiniano manifesto di celluloide che s’intitola Kill Bill. Vendicarsi fa bene alla salute, ma che succede una volta che ti sei vendicato? Il dolore tornerà a cercarti? E’ su questi interrogativi che si basa principalmente l’opera di Park Chan-wook, capolavoro d’inizio millennio, dai risvolti altamente sorprendenti, non privo di poesia, che lascia emergere un certo reclamo del diritto di vivere ed in cui perfino i minuti di troppo riescono a trovare una giustificazione. Quindi, con uno stile che fonde abilmente una messa in scena decisamente autoriale e temi tipici dei film d’intrattenimento, 'Old boy' espone la cattiveria dell’uomo, ben lontana da qualsiasi artificiosa rappresentazione cinematografica, capace di toccare vette irraggiungibili, soprattutto quando riesce a colpire contemporaneamente sia il cuore che il cervello di un altro essere umano, e gli orientali si riconfermano maestri del cinema dei sentimenti, che siano questi di odio o d’amore.


(di Francesco Lomuscio)

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