NOVE VITE DA DONNA
 
 
Nove donne. Nove corti di dodici minuti. Nove pianosequenza che vogliono essere una dichiarazione di onestà verso lo spettatore e di sfida verso se stessi. Questo, e molto altro, è il film vincitore della 58esima edizione del Festival Internazionale di Locarno. Una scelta atipica. Quante volte capita, infatti, che un film bello abbia anche buone possibilità commerciali e, soprattutto, vinca anche un festival? Per di piu’ quello ticinese! Rodrigo Garcia, figlio dell’Omero sudamericano Gabriel Garcia Marquez, dopo il discontinuo 'Le cose che so di lei', sbaglia pochissimo. Possiamo apprezzarlo per la regia televisiva dei telefilm cult 'Soprano' e 'Six feet Under'. Non
 
 
 
uno qualunque, insomma, né un figlio d’arte e di papà. Un ragazzo- tradisce la sua età la faccia pacioccona da bambino malizioso- che sa il fatto suo e che soprattutto conosce le donne. Come il 99% dei maschietti vorrebbe- chi vi scrive per primo- e come il 101% delle donne desidererebbe. Ma questo è solo un film e Rodrigo vive a Los Angeles, purtroppo. Vedendo 'Nine Lives', l’autore ci prende per mano e ci accompagana a spiare, con discrezione e sensibilità, nove momenti importanti nella vita di altrettante donne. E
 
 
lo fa raccontandoci i 12 minuti precedenti all’avvenimento. Senza artifici di montaggio, come già detto, ma seguendole in tempo reale, con tanta virtu’ e nessun virtuosismo. Non sono tutti capolavori, attenzione. Ma tutti sono parte di un progetto comune, contraddistinti da una regia elegante e decisa e da una scrit-
 
 
tura curata e piena di classe. Indimenticabile- meriterebbe da solo una messe inarrestabile di premi- il secondo episodio. Una Robin Wright Penn starordinaria, incontra al supermercato il suo passato, l’uomo con cui non ebbero il coraggio di amarsi fino in fondo. Sposati entrambi, lei incinta. Un inseguimento struggente e disperato, romantico e dolcemente ingiusto- per tutti- attraverso que-  
sta piazza chiusa da scaffali pieni e colorati. E tutto questo lo capirete quando i protagonisti ancora non avranno cominciato a parlare. Grazie al viso, alla mimica, al talento di quest’attrice sempre sottovalutata. Ed il merito del film è proprio questo. Caliamo in queste vite potendo solo intuirne premesse e conclusioni. Delle ellissi mai forzate che non spiegano ma che ci fanno vivere e capire queste situazioni. Rapporti indispensabili che ti intrappolano, passati troppo ingombranti e ingombrati da rimpianti, errori e sofferenze, donne nemiche di se stesse e che vorrebbero cambiare. Ma non ne hanno il coraggio. La fiducia. La forza. E uomini, spalle di queste creature meravigliose vittime della loro stessa splendida complessità, che ne sono carnefici o compagni, mai banali. In questo senso da segnalare l’ottima interpretazione di un altro attore sottovalutato: Joe Mantegna, marito innamorato, coraggioso nella sua normalità. Ma non vanno dimenticate Sissy Spacek, Glenn Close, Lisa Gay Hamilton, Kathy Baker, Amy Brenneman, Amanda Seyfried, solo per citare alcuni dei meccanismi di questa struttura quasi perfetta. E, merita, una citazione a parte, Dakota Fanning. Ve la immaginate una bambina di nove anni fare un pianosequenza di 11 minuti? Io, francamente, neanche dopo averla vista. Un applauso convinto, quindi, a quest’opera che potrebbe far storcere il naso ai puristi ma che emoziona e coinvolge. Senza stilizzazioni, morbosità, facili sentimentalismi. E con un sapore umano e letterario piacevolissimo. Nove racconti brevi che sembrano nove piccole case. Ben costruite, senza lussi inutili, rifiniture eccessive o sfarzi abbaglianti. Novelle di cui si apprezza la struttura narrativa semplice e originale. Piccoli diamanti che, speriamo, non vengano rovinati dal doppiaggio italiano. Cercate la versione originale. Non ve ne pentirete.

(di Boris Sollazzo)

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