una
calda vacanza
estiva ma
destinato
a resistere
negli anni
alle prove
più
ardue: all’ostilità
della morale
benpensante,
all’addio
obbligato
dalle circostanze,
alla guerra,
al tempo e
al logorio
interiore
e fisico.
Il tutto trasposto
ai giorni
nostri, per
mezzo del
racconto che
un ormai vecchio
e malato Noah
fa alla moglie
Allie, segnata
da una forma
devastante
di demenza
senile, nella
speranza di
riportare
a galla dall’inconscio
profondo la
loro essenza
(per mezzo
dei ricordi).
L’originalità
del soggetto
consiste proprio
nella scelta
di porre come
motore del
plot non tanto
la storia
d’amore,
che ne avrebbe
altrimenti
fatto una
versione alleggerita
di 'Via col
vento', ma
le conseguenze
dell’amore
stesso. Proprio
quando lo
spettatore
è convinto
di assistere
all’ennesima
(e datata)
pellicola
pregna del
più
banale sentimentalismo,
l’irrompere
del futuro
nel presente
spezza i legami
con il consueto
lieto-fine,
per regalare,
invece, una
nuova vicenda.
Ed è
a questo punto
che viene
portato a
galla il lato
altro della
medaglia che
contrappone,
sempre attraverso
un uso sapiente
e contraddittorio
del tempo
della narrazione
(ecco il tocco
del regista),
all’esito
scontato della
storia nella
storia un
impetuoso
crescendo
dell’imprevedibilità
narrativa
della Vita,
riflesso consequenziale
dell’inatteso
dilatarsi
spazio temporale
ad essa dedicatole.
Come chiusa
di questo
iter, velato
dietro ad
un’apparente
banalità
(la vera pecca
della 35 mm
è infatti
quella di
svelarsi troppo
delicatamente
all’occhio
dello spettatore
inesperto)
si stagliano
sullo schermo
la sequenza
della cena
prima e il
piano americano
che chiude
l’ultima
scena poi.
Amor vicit
omnia? La
risposta di
Cassavetes
è:
forse. Sicuramente,
però,
pare valga
la pena crederci. |