|
|
|
|
|
|
Timoteo
e Italia
se ne stanno silenziosi,
su una scala mobile. In
moto e fermi. Lui accarezza,
stringe, afferra e si aggrappa
al viso di lei. Il loro
amore rancido, sudato, bagnato,
violento, disperato, disgraziato,
tenero e assoluto è
come quella carezza. Un
amore violento e forte,
ma non abbastanza violento
e forte da fermare il tempo.
I due protagonisti di questo
melodramma borghese che
deflagra in una periferia
squallida, in una casetta
abborracciata
e schiacciata tra palazzoni
scheletrici, tra strade
sterrate, buste di surgelati,
supplì, bicchieri
di vodka, partite a calciobalilla,
si preparano ad un'altra
separazione e, come sempre,
non sembrano pronti. Come
gli amanti dei miti che
non smettono di amarsi.
Mai.
Come chi all'abbandono,
all'inferno, alla fine non
si abitua. Come chi conosce
il lutto e lo nega. Conosce
la passione |
|
|
|
che divora l'anima, svuota
gli occhi, uccide, annichilisce.
Un'emorragia cerebrale che
inonda il cervello o seppellisce
i ricordi sotto uno strato
sottile di terra fresca.
La testa di Angela, la figlia
adolescente di Timoteo,
sul tavolo operatorio per
un intervento difficilissimo
dopo un incidente in motorino,
e quella del padre, in attesa
in un corridoio, combattono
per sopravvivere. Mentre
la pioggia bagna un fantasma
seduto all'aperto e con
una sola scarpa rossa. Non
muoversi, stare fermo è
un'invocazione interiore,
una preghiera, un sibilo
angoscioso, un'imprecazione
rivolta al cielo e ai muri
della prigione di una vita
sterile e misurata, protetta
da spirali, da feste noiose,
da bianche case al mare,
da bugie, da solitudini
confidate ad una sconosciutadal
bal cone di casa, da convegni
medici, da confidenze, da
ventri gonfi di embrioni
abortiti, da camici e guanti
sterilizzati. Chi apre chirurgicamente
i corpi, guarda stupito
il fiotto del sangue e traghetta
le persone tra la vita e
la morte, non ha imparato
a usare il bisturi sui tessuti
delle emozioni.
Tra queste mura che affondano
in un passato straziato
da altri abbandoni si apre,
in un pomeriggio umido e
afoso, una falla scrostata
e profonda. Uno stupro diventerà
un amore malato, accende
e si avvita una carnalità
primigenia e spieiata. Timoteo
azzanna ed è dilaniato
da Italia, una donna derelitta,
brutta, sgraziata, docile.
Dentro di lei il protagonista,
con la sua viltà
e le sue improbe debolezze,
si perderà e non
avrà più pace.
Sergio Castellitto
(interpreta magnificamente
le ambiguità di Timoteo)
si aggira, con bellissime
intuizioni visive e inquadrature
strazianti, nelle pagine
del romanzo della moglie
Margaret Mazzantini e mette
in scena, aiutato da una
straordinaria Penèlope
Cruz, in un ruolo
drammatico che resterà
incollato nel suo dna, (anche
gli altri attori sono molto
bravi) con qualche febbrile
eccesso di regia, i battiti,
le vertigini, le faglie,
i crepacci orridi, le solitudini,
i tormenti, l'incoscienza
e gli avvilimenti dei personaggi.
(di Enrico Magrelli
- Film TV) |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Copyright © Cinema4stelle.it 2003-2004. Tutti i diritti sono riservati.
|
|
|