Se c’è
una cosa che impressiona
in negativo nel cinema
italiano recente,
al di là della
scarsezza di fondi
o del poco coraggio
e monocordia di un
filone narrativo ormai
stereotipato, è
la disarmante pochezza
d’idee. “Non
aver paura”
presenta già
un titolo che non
apre ai migliori auspici,
con il suo ammiccamento
al già noto
“Io non ho paura”
di Salvatores. Angelo
Longoni (in collaborazione
con Massimo Sgorbani
per quanto riguarda
lo script) cerca di
dare vita ad un’operazione
innovativa, che sviluppi,
facendoli intrecciare,
parallelamente il
filone del dramma
familiare e quello
del thriller all’italiana.
Il mix che ne esce
non aiuta sicuramente
ad approfondire e
a compiere nessuno
dei due, dando vita
ad una sceneggiatura
che finisce per affrontare
superficialmente una
storia che forse qualcosa
in più avrebbe
avuto da dire.
La
ripercussione
del
contrasto
fra
i genitori,
una
Laura
Morante
che
mostra
un nevrotismo
alla
“Ricordati
di me”
e Alessio
Boni,
sul
ragazzino
protagonista
viene
esemplificata
tramite
l’espediente
dell’amico
immaginario”.
Il didascalismo
e la
linearità
caratteriale
che
ne consegue
giocoforza
sui
personaggi
aiuta
a consolidarsi
l’immagine
di un
film
che
avanza
pretese
di analisi
introspettiva
e di
messa
in sce-
na,
senza esaurire
nessuna delle
due. C’è,
sotto sotto,
la sibillina
intenzione
di incollare
allo schermo
il pubblico
tramite l’espediente
narrativo
dell’aumento
graduale della
tensione,
intenzione
che viene
vanificata
da un uso
eccessivamente
ridondante
e pompato
della colonna
sonora, che
alla lunga
ottiene l’effetto
opposto. Una
maggiore umiltà
e semplicità
di script,
ma anche di
successiva
direzione
dei personaggi
e tipologia
d’inquadratura
non sarebbe
guastata.
Si ricercano
snodi narrativi
ad effetto,
ricadendo
a tratti quasi
nel ridicolo
nel tentativo
palese di
forzare la
mano alla
realtà.
Ci si rammarica
un po’
di come ultimamente
il cinema
nostrano sia
costantemente
alla ricerca
della grande
storia mancata,
del grande
climax fallito.
E non guasterebbe
di sicuro,
almeno tentativamente,
un approccio
più
minimalista.