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La
frase di lancio del film
è: "La verità
è la prima vittima
della guerra". Sacrosanto:
verità - appunto
- assoluta. Generalmente
parlando, è anche
il cinema la prima vittima
delle cosiddette sovvenzioni
statali, di cui anche Nema
Problema è
vittima (non si sa in quale
quantità, e poco
importa). E gli spettatori
pure, insieme al cinema.
Vittime ovunque, insomma.
È che nel ricostruire
con la più lucida
oggettività possibile
la tragedia della guerra
della Bosnia-Erzegovina
il regista documentarista-giornalista
Bocchi si è dimenticato
di una cosa: l'emozione.
D'accordo che si è
tentato di fare un documento
nudo e crudo (tra l'altro,
senza musica, ma solo rumori
di fondo e esplosioni continue),
quindi glaciale nel rappresentare
l'orrore, ma l'interesse
non viene nemmeno a sbocciare.
Anche perché si capisce
che le ambizioni sono |
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molto
alte, da - ancora - verità
assolute. Difatti, Nema
Problema è una specie
di Apocalypse Now
attraverso i Balcani, alla
ricerca di un comandante
potente e temuto, con i
giornalisti protagonisti
che a poco a poco scoprono
l'inutilità sia della
menzogna sia dell'imparzialità,
quindi l'inutilità
tanto dell'arrivismo a tutti
i costi quanto del rigore
cronachistico, perchè
la mostruosità della
guerra mangia comunque ogni
intento, sentimento, etica.
Però il film sembra
un prodotto TV Rai del 1986:
stesso look, stesso andamento.
Allora c'è un calcolo
sbagliato tra intenti e
effettivi mezzi. E chi ne
risente è proprio
il risultato finale.
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Pier
Maria Bocchi (Film
TV) |
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