Hide and Seek, titolo
originale inglese
la cui traduzione
indica il gioco “nascondino”,
si palesa come un
thriller dove tutti
gli ingredienti classici
per l’impasto
sono presenti: una
morte violenta, una
casa al limitar dell’oscura
vegetazione, inquietanti
disegni fanciulleschi,
una bambina che sgrana
gli occhi vivaci quanto
basta a far supporre
capacità comunicative
con entità
dalla natura non identificata
ma dal temperamento
pericoloso. I protagonisti
sono padre e figlia:
lui, professione psicologo
occhialuto, un Robert
De Niro dimesso e
ordinario, dopo la
scomparsa lacerante
della moglie scappa
dalla città
in cerca di requie
per sé e la
progenie, Dakota Fenning
('Mi chiamo Sam',
'Man of Fire') che
modula lo sguardo
a uso scanner o come
fanali antinebbia,
vestendo i panni zelanti
di una bambina troppo
intelligente quanto
leziosa. L'at-
tenuante
della
pargola
è
che,
forse,
immaginarsi
(ma
è
immaginario?)
un amico
malvagio
sia
l’unico
antidoto
per
contrastare
un padre
perfettino
e pacato,
grondante
domande
e risposte
politicamente
corrette
sul
lutto.
Ma si
sa ogni
trama
dispone
di varianti
imprevedibili,
che
qui
non
verranno
svelate
per
solenne
e regale
rispetto
verso
gli
amanti
del
genere.
D’altra
parte
ci si
ricordi
sempre
la convenienza
d'appel-
larsi
alla sindrome
da personalità
multipla.
Il regista
riesce a tenere
la tensione
fino a un
certo punto
salvo poi
sdilinquirla
e mollarla
al suo destino
senza remora,
calcando deliberatamente
su alcune
scene (le
discese allo
scantinato,
le scorribande
al buio, il
bosco, i buuu)
e su pretestuosi
effetti sorpresa
stantìì
come il lamento
stridulo di
cardini arrugginiti.
Il mestiere
c’è
ma non basta.
Tutto si frulla
compatibile
ma la muffa
è in
agguato. Qualcuno
vada a chiamar
De Niro, gli
dica che abbiamo
contato fino
a cento. Si
liberi dal
buio di ruoli
stanchi e
piatti nel
quale s’è
cacciato.
Che torni
alla luce.
Non è
una richiesta.
E’ un
grido disperato.
(di Daniela
Losini)