Film-documentario
tratto dall’omonimo
libro scritto da Joe
Simpson che racconta
la tragica vicenda
vissuta con l’amico
di cordata Simon Yates
sulle Ande Peruviane
durante la scalata
di una cima impervia,
la Siula Grande. Nell’ambiente
dell’alpinismo
fu, ed è, un
fatto che riscosse
enorme risonanza.
Simon si trovò
a prendere la terribile
decisione di tagliare
la fune che lo collegava
all’amico Joe
e rientrò al
campo credendolo morto.
Il compagno, contro
ogni pronostico, sopravvisse
e per scagionare l’amico
dalle durissime accuse
che gli vennero mosse,
scrisse il libro raccontando
i fatti nudi e crudi.
La scelta stilistica
di effettuare una
miscela tra il cinema
e il documentario
è stata fortemente
voluta dal regista
come dai protagonisti
che oltre a raccontare
in prima persona gli
avvenimenti sono affiancati
dalla recitazione
degli attori
che
li impersonano.
Una
scelta
purista
per
un lungometraggio
insolito
e cristallino
di cieli,
cime
innevate
e intenti.
Mostra
chirurgicamente
i fatti
esprimendo
i punti
di vista
e i
ricordi
dei
due
amici
con
le conseguenti
esperienze
laceranti.
C’è
spazio
per
riflettere
sulla
capacità
di sopravvivenza
in situazioni
al limite,
amplificate
dalla
solitudine
e dalle
difficoltà
straordinarie
di di
un’esperienza
del
genere.
Prendere
decisioni
lancinanti
per auto-preservarsi,
riflettere
sulle capacità
di adattarsi
anche alle
situazioni
più
gravose sono
gli elementi
psicologici
che emergono
dalla vicenda
e dalla pellicola.
Si potrebbe
aprire un
dibattito
retorico sul
perché
uno le grane
se le va a
cercare in
qualche modo,
ma le passioni
sono passioni
e non si discute,
e il rischio
è connaturato
all’attività
alpinistica
come del resto
ad ogni vera
passione che
si rispetti.