MONAMOUR
 
  A due anni di distanza dal lungometraggio ad episodi Fallo!, il maestro dell’erotismo tricolore Tinto Brass torna dietro la macchina da presa con Monamour (ironica unione tra il veneto “mona” ed il francese “amour”), interpretato dalla sua ultima scoperta: la venticinquenne Anna Jimskaya, già al fianco del regista per un piccolo ruolo in Senso ’45. Sfruttando il solito calderone di falli finti e scene di sesso esplicito, Brass ci racconta, sullo sfondo di Mantova, le scappatelle della veneziana Marta, la quale, annoiata dalla vita coniugale in quanto trascurata dal marito Dario, si concede all’affascinante artista francese Leon, per poi annotare tutto all’interno del suo diario. Quello stesso diario che, scoperto dal compagno, contribuirà a riaccendere la passione tra i due. L’immancabile Max Parodi, Nela Lucic e Riccardo Marino completano il cast dell’ultima fatica del Tinto nazionale, che compare anche in un cammeo, costruita a tavolino, come di consueto, per lanciare sullo schermo il nuovo, attraente corpo femminile, e per comunicare ancora una volta che il tradimento contribuisce a rafforzare il rapporto di coppia, in quanto generatore del più potente degli afrodisiaci: la gelosia. Sorvolando sui discutibili ideali brassiani e su alcune lungaggini di sceneggiatura (ad opera dello stesso Brass, Carla Cipriani e Massimiliano Zanin), non possiamo certo negare che il regista sia ormai considerabile un autore a tutto tondo, il quale merita uno spazio personale nella storia della cinematografia italiana. E la cosa non è certo una novità, in quanto all’autore de La chiave e Così fan tutte sono state dedicate non poche retrospettive, sia all’interno che al di fuori dello stivale del globo, ma il motivo quale è? Senz’altro uno stile riconoscibile e diverso dal resto del panorama erotico, il quale va’ identificato, tra l’altro, nella bella, studiata fotografia, nell’uso del montaggio (dello stesso Brass), e, in particolar modo, nella disposizione e la forma degli oggetti scenografici, i quali ri-  
 
chiamano alla memoria elementi legati al sesso. Insomma, possiamo tranquillamente affermare che in Italia Brass stia all’erotismo come Dario Argento sta a al thriller, entrambi con i loro pregi e difetti. E chissà se in un futuro il noto regista veneto non decida di portare la sua inconfondibile tecnica dalle parti di altri generi, in modo da conferire nuova linfa vitale alla “salma” della celluloide tricolore. Nota conclusiva: Monamour segna l’esordio di Tinto Brass nel rapporto con il digitale, il tutto senza perdere il fascino che avevano le sue illuminazioni su pellicola. Non male come prima volta. (di Mirko Lomuscio)

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