MILLION DOLLAR BABY
 

recensione million dollar baby

 
Clint Eastwood, regista dal piglio rude, malinconico e graffiante ribalta la prospettiva prevedibile dell’allenatore-mentore e del boxeur determinato agguantandoti a tradimento con una zampata repentina e la forza della retorica - uno dei pochi capace di trasformarla in poesia - dopo averti fatto credere per trenta minuti che ti sta raccontando, aiutato dalla voce narrante di Morgan Freeman, la solita storia del perdente che vince. Questa volta è una ragazza dalla tempra risoluta, smaniosa d’imparare la boxe e che si porta sulle spalle muscolose una vita grama e povera d’affetto. Incrocia i guantoni con Frank che resiste ma poi cede al richiamo della passione agonistica e la allena. Gestisce una palestra con un vecchio amico pugile (sublime il dialogo tra i due sui calzini), va a messa da buon irlandese mettendo  
 
in croce il prete, studia il gaelico e insegue le tracce di una figlia che non ne vuole più sapere. Un cartello nella palestra suggerisce: “I vincitori vogliono semplicemente fare quello che i perdenti non fanno.” Qui, si fa e molto. Maggie, prima un destro poi un sinistro, macina il riscatto vincendo un incontro dopo l’altro e approda al match per il titolo che le può cambiare la vita. E la vita, uno sgabello, un’avversaria sleale le asse-  
stano il gancio che la mette al tappeto. Scompare il grande sogno, l’autonomia di respiro, una gamba ma non la dignità, la volontà, la bellezza della forza. Lei che crede di essere spazzatura è una dura, dura abbastanza da chiedere la morte. Arriveranno i parenti serpenti agghindati con le t-shirt fregiate da innocenti stampe di cartoni animati. Su tutti la madre, cobra velenoso. Vi sfido a non sobbalzare indignati dalla poltrona quando vedrete gli sciacalli infilare la penna nella bocca della protagonista per farle firmare i documenti dell’eredità. E sullo sfondo, lui. Silenzioso, maestoso, introverso e dolorosamente partecipe che la assiste munito di disperato amore, con la lama della colpa conficcata nel petto. Caro, vecchio Clint che ci racconti la tua sulla morte, sull’amore, sulla forza dei rapporti umani. E ti prendi il cuore, ti prendi le lacrime, convinci senza riserve. Caro, vecchio Clint, grazie. Il cinema è vivo e sta bene. (di Daniela Losini)
 
 
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