IL MERCANTE DI VENEZIA
 

recensione il mercante di venezia

 
Posto che nulla ho contro gli scritti del Bardo e la sua capacità di sondare gli animi e le meschinerie umane, posto che nulla ho contro l’attore Al Pacino, posto che rispetto la sacralità del testo e qualunque sia l’arte con la quale si decide di rappresentarlo, poste tutte queste doverose premesse mi riservo il diritto sacrosanto di raccontarvi della noia, funesta e micidiale, provata durante la proiezione de 'Il mercante di Venezia'. L’usuraio Shylock ferito nell’animo e nei danari cerca vendetta obbligando il debitore Antonio – che per omoaffettività, direbbe oggi Cecchi Paone, prestò tremila ducati a Bassanio offrendogli l’opportunità d’impalmare la bella, abbiente e furba Porzia - a saldare dinanzi al Doge e appoggiato dalla legge, il suo debito di carne viva quale risarcimento pattuito in caso d’insolvenza. Non sono bastati 10-15  
 
minuti di recitato sanguigno del buon Al, né la cornice veneziana a convincermi della bontà del prodotto e nemmeno lo spreco d’attori, abiti, musiche e soldi per persuadermi che questo è un film apprezzabile. Si assiste per rispetto non per piacere e si assiste soffrendo. Aspettando che qualcuno finalmente colmi la scena, che la regia piatta senza guizzi nè impennate, improvvisamente s’innalzi. Si soffre pensando al-  
l'ennesima occasione mancata o all’inutilità, dell’occasione stessa. Si attende che arrivi la fine e che ci regali la nota di merito. Ma la domanda sorge spontanea. Se per arrivare al termine il percorso dev’essere così tortuoso, contorto e pesante, perché? E si attende, dunque, invano. Si spera altresì che il Bardo da lassù perdoni. Perché qui in terra non lo faremo. Perché va bene la sacralità del testo, va bene che Al pacino è un attore di notevoli capacità, va bene che si faccia cinema ma dateci il nostro buon film quotidiano, grazie. (di Daniela Losini)
 
 
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