MAN ON FIRE
 
 

- Recensione -

 
Man on Fire scritto da uno dei grandi misteri dell'universo, Brian Helgeland, autore, tanto per dire, della sceneggiatura di Mystic River, ma anche fautore, sempre tanto per dire, di La setta dei dannati. Inoltre, è diretto da un signore che ha delle idee di messinscena e di montaggio abbastanza disgustose: basta muovere la macchina da presa più del dovuto, con una fotografia bella pastellata, e il gioco è fatto. Tony Scott avrà girato sì e no un paio di bei film in vita sua. Man on Fire sembra un incrocio tra Il giustiziere della notte e Terminator. Denzel, alcolizzato, accetta di fare da guardia del corpo per la figlia di un riccone, a El Paso, sul confine tra Stati Uniti e Messico. Lei, ovviamente, viene sequestrata. Lui farà di tutto per punire i colpevoli e chi ne ha tratto guadagno; Denzel, dopo essersi intenerito con la  
 
bimba, diventa nella seconda parte una macchina da guerra: taglia dita e orecchie, e spara col lanciagranate che neanche Arnie in Commando. Un abominio: lungo come la quaresima, improponibile, familista e tronfio. Per non parlare di tutto il resto, morale sull'eroe e simili. La faccia migliore è quella di Rourke, che peraltro si vede poco. Walken è ormai a pilota automatico, mentre Denzel ha l'espressione di  
sedia a sdraio. Giannini non si sa cosa ci stia a fare. C'è pure un pappagallo.(di Pier Maria Bocchi - Film TV)
 
 
   
 

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