MACHUCA
 
 

- Recensione -

 
Contrariamente a quello che piace pensare, i bambini non possono salvare il mondo. Soprattutto se il mondo è il Cile
del 1973, nei giorni in cui la democrazia di Salvator Allende si sbriciola nella violenza, nel sangue, nella rabbia sociale e viene spazzata via dal colpo di stato dei militari. Il regista cileno Andrés Wood, nel suo terzo lungometraggio, racconta i giorni dell'ira e della catastrofe politica partendo dalle aule di un'esclusiva scuola privata dove il preside Padre McEnroe vorrebbe favorire l'integrazione di alcuni studenti che appartengono ad una realtà sociale molto diversa da guella da cui arriva la maggior parte degli studenti. Divise ordinate e maglioni bucati, abitazioni lussuose e catapecchie di una baraccopoli abusiva, timidezze da esclusi e arroganza dei privilegiati, agiatezza e povertà. Tra Gonzalo Infante e Pedro
 
 
Machuca, i due protagonisti undicenni, nasce un'amicizia complicata e guardinga fatta di incomprensioni e sospetti, di complicità effimere, di una vicinanza senza futuro, di baci al latte condensato e rubati alla giovanissima e fiera Silvana. Machuca ha una struttura semplice, lineare, con scene delicate ed emozionanti, con la macchina da presa all'altezza, non per partito preso o per faziosità sulla ideologia estetica, dei  
suoi personaggi che recitano bene (i due ragazzini sono entrambi esordienti e la ragazzina ha una limitatissima esperienza alle spalle). Non è più facilissimo inquadrare un corteo di protesta o di festa o una pagina terribile di Storia e Wood ci riesce. (di Enrico Magrelli - Film TV)
 
 
   
 

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