Attivo nel cinema
fin dal lontano 1978,
anno in cui interpretò
Animal house di John
Landis, il quarantasettenne
Kevin Bacon, dopo
aver diretto, nel
1996, il film televisivo
'Losing Chase', torna
dietro la macchina
da presa per esordire
nella regia del lungometraggio
cinematografico con
il dramma Loverboy,
con protagonista l’inseparabile
compagna Kyra Sedwick,
al suo fianco anche
nel recente 'The woodsman
- Il segreto' (2004)
di Nicole Kassell.
Tratta da un romanzo
di Victoria Redel,
la sceneggiatura di
'Loverboy', ad opera
di Hannah Shakespeare,
viene avviata da una
ridicola trama che
sembra quasi pensata
per una pellicola
volutamente trash,
con la single trentenne
Emily (la Sedwick,
appunto) che vive
nel tentativo di portare
a compimento una personale
missione: mettere
al mondo un figlio
speciale,
risultato
dei
diversi
rapporti
sessuali
avuti
con
occasionali
amanti,
ognuno
dei
quali
deve
possedere
almeno
una
evidente
dote
positiva,
che
va’
dall’intelligenza
al sedere
invidiabile.
E tutto
questo
senza
poi
dare
un padre
al bambino,
perché,
come
viene
anche
detto
nel
corso
della
narrazione:
molti
uomini=nessun
padre.
Però,
visto
che
è
cosa
risaputa
che
è
dall’amore
che
nasce
l'uomo,
dopo
tanti
tentati-
vi
falliti, tra
selvaggi amplessi
in biblioteca
e frettolosi
rapporti sul
cofano dell’automobile
di un musicista,
l’unico
tizio che
riesce a fecondarla
è colui
che dice di
amarla, il
quale ha il
volto di Campbell
Scott (Scelta
d’amore,
La storia
di Hilary
e Victor).
Giunti a questo
punto, si
potrebbe pensare
che il film
si trasformi
nella solita
favola romantica
metropolitana
a cui il cinema
a stelle e
strisce (e
non solo)
ci ha da tempo
abituati,
tanto che
cominciano
ad essere
presenti frasi
come: “Non
c’è
amore più
grande di
quello che
si prova per
il proprio
figlio”.
Invece, il
“padre”
del bambino
(Dominic Scott
Kay) scompare,
come anche
altri personaggi,
purtroppo,
nel corso
del lungometraggio,
senza riapparire
in nessun
altra situazione;
la sola Emily,
quindi, dalla
non proprio
felicissima
infanzia vissuta
accanto ai
genitori,
interpretati
dallo stesso
Bacon e Marisa
Tomei (Mio
cugino Vincenzo),
si accinge
a crescere
Paul (questo
è il
nome dato
al piccolo)
come un essere
speciale,
unico al mondo,
tanto da instaurare
con lui un
rapporto decisamente
morboso. Infatti,
sempre più
possessiva,
gelosa, ostile
a dividere
l’attenzione
e l’affetto
del figlio
con gli altri,
si troverà
perfino in
contrasto
con l’insegnante
del bambino,
tanto da sprofondare
in un delirio
irreversibile.
Quindi, quella
che sembrava
essere una
grottesca
commedia dal
sapore tutt’altro
che hollywoodiano,
si trasforma
ben presto
in un triste
dramma familiare,
accompagnato
da una non
disprezzabile
colonna sonora,
che vanta
tra i suoi
interpreti
Sandra Bullock,
nei panni
della Signora
Harker, personaggio
vagamente
ultraterreno
legato ai
ricordi di
Emily. Peccato,
però,
che Kevin
Bacon non
riesca a gestire
in maniera
sapiente il
tutto, incappando
particolarmente
nei tipici
errori che
commette chi
passa dietro
la macchina
da presa:
quello di
voler raccontare
troppe cose
in poco tempo
ed in troppi
modi diversi,
e, soprattutto,
quello di
eccedere in
ricerca poetica.
E proprio
quest’ultimo
elemento,
infatti, alla
fine di novanta
minuti in
cui non mancano
momenti soporiferi,
tende erroneamente
a farci provare
un sentimento
di pietà
nei confronti
della folle
protagonista,
le cui imprese
ci spingono
soltanto a
riflettere
su quanti
poveri pargoli,
in giro per
il mondo,
vengano dati
alla luce
da donne incoscienti
e scapestrate.