Un Kevin Costner mai
a corto di birra e
drink ma romanticamente
molesto, ex campione
di baseball, in toto
ex molte cose, incrocia
il bicchiere con la
vicina di villa, Joan
Allen abbandonata
dal marito fedifrago
che l’ha lasciata
a gestire quattro
figlie in età,
desideri e suggestioni
pericolose. Rabbiosa
e avvelenata s’arrocca
nel proprio dolore
che la inacidisce
oltremisura. Affronta
le scelte della vita
e delle figlie –
una di loro si invaghisce
di un quarantenne
che corre dietro alle
giovinette sfoggiando
come arma gli emmy
awards al posto della
collezione di farfalle
(passatelli cascamorti
di professione la
guardate mtv?) –
con cipiglio furioso
e aggressivo e qui
s’aggancia la
scena più azzeccata
dove a una cena, lei
s’immagina di
far scoppiare la testa
del fidanzato molesto.
A un certo punto della
trama si odono le
note balsamiche di
"Girl you’ll
be a
woman
soon"
che
ti fanno
venire
in mente
Tarantino
(bel
pensiero)
ma lo
svolgersi
del
primo
amore
col
ragazzetto
ritroso
(che
idea:
è
gay!)
della
figlia
adolescente
ci ricorda
che
siamo
nel
bel
mezzo
di un
polpettone
metà
avvelenato
e metà
no.
Costner
è
quasi
tragico
nella
sua
decadenza
e dunque
amabile,
i dialoghi
sono
ben
strutturati
mentre
la Allen
è
un perfetto
cobra
reattivo
e impietoso
ma questi
elementi
non
reggono la
struttura
né
scacciano
la considerazione
che è
vero son perdenti,
ma perdenti
benestanti.
Siam capaci
tutti. Annunciato
da un titolo
scellerato
(l’originale
è The
Upside of
the Anger)
questo drammone
precostruito
per l’oscar
traballa soprattutto
nell’ordito
essendo monco
di logica:
possibile
che nessuna
delle quattro
figlie non
cerchi di
contattare
il padre in
quasi due
anni prima
del colpo
di scena?
In chiusura:
solennemente
telefonato
con qualche
interruzione
di linea.