LEVELLAND
 

recensione levelland

 
Levelland ci offre un quadro insolito di vita americana, un’immagine del way of life fuori dalle grandi metropoli e a contatto invece con più piccole realtà urbane, tra case di legno sparse in mezzo alle enormi distese pianeggianti del Texas e una dimensione provinciale più a misura d’uomo. Sono storie di adolescenti che frequentano la scuola e che dedicano gran parte della loro giornata allo skateboard, facendone quasi una ragione di vita: il monopattino sembra diventare una fuga dalla realtà, un desiderio di evadere versi altri mondi dove le regole delle quattro rotelle possano aiutare a crescere e a maturare più in fretta. Non c’è una vera trama, escludendo episodi minori come l’amore tra un’insegnante e il suo bell’allievo dai capelli biondi, o il dramma di un altro studente che deve passare un periodo in una clinica in seguito a una grave  
 
forma di depressione; oppure la vicenda di un padre intransigente che non riesce a convertire il figlio al football impedendogli lo skateboard; sono in realtà tutti passaggi secondari, storie marginali che fanno solo da contesto alla mania per il monopattino, con tutto quello che questo comporta: conta solo la ricerca di nuove piste su cui cimentarsi, che siano vasche abbandonate di ville fatiscenti oppure che sia la discesa a chiocciola di un parcheggio a più piani. Il film trasmette poco o quasi nulla, senza mai mostrare quale voglia essere il messaggio da comunicare o se abbia invece solo una funzione documentaristica. Resta il fatto che, al di là di un’immagine della provincia americana quale non vediamo attraverso altre pellicole, al di là di una rappresentazione di una gioventù che non siamo soliti conoscere, spesso poi con questo tipo di manie, al di là di tutto questo, ci resta poco alla fine: forse le conoscenze essenziali della cultura dello skateboard, ed una visione di questo come valvola di sfogo dal disagio giovanile; e ci sembra davvero poco.

(di Michele Canalini)


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