La voce fuori campo
di un narratore onniscente
accompagna tutto l’evolversi
della vicenda; è
quella di Lemony Snicket,
pseudonimo di Daniel
Handler, autore da
cui è tratto
il plot narrativo
di questi primi tre
episodi della saga
'Una serie di sfortunati
eventi', sceneggiata
su grande schermo
da Brad Silberling,
già regista
di film fantadrammatici
quali 'Casper', 'City
of Angels' e 'Moonlight
Mile'. Fedele alla
storia originale di
Handler-Snicket, la
pellicola racconta
l’incredibile
serie di “sfortunati
eventi” che
all’improvviso
piomba nelle vite
degli orfani Baudelaire:
in seguito ad un misterioso
incendio in cui hanno
perso, oltre alla
propria casa, anche
i propri genitori,
i tre fanciulli (Violet,
Klaus e Sunny) s’imbattono
in una sequela di
personaggi pittoreschi
e stravaganti quali
il perfido conte Olaf
(Jim Carrey), l’esotico
zio Monty (Billy Connolly),
l'ipo-
condriaca
zia
Josephine
(Meryl
Streep)
e un
distratto
banchiere,
il signor
Poe,
inconscio
artefice
di tutte
le loro
disdette.
Costruita
per
gradi,
la storia
si rivela
tutt’altro
che
scontata
e, come
vuole
la tradizione
del
“cinema
a puntate”,
molto
in voga
negli
ultimi
anni,
si risolve
in un
finale
enigmatico
che
non
può
che
incentivare
lo spettatore
ad attendere
trepidante
i sequel
di di
prossima
produzione.
Con
un cast
d’eccezione,
costituito
dalla regina
degli oscar
Meryl Streep,
eccezionale
nel ruolo
di vedova
ansante, dalla
bravissima
Emily Browning
(Violet),
da un cameo
di Dustin
Hoffman e
da uno straripante
Jim Carrey,
attore poliedrico
e trasformista,
incarnazione
della supermarionetta
di Gordon,
il film, vincitore
di un premio
oscar, quello
come miglior
trucco, è
una perfetta
miscela di
citazionismo
e narrazione;
ai misteri
che aleggiano
sugli strani
incendi fanno
da contr’altare
continue menzioni
che spaziano
dall’ambito
letterario
(Baudelaire
è un
cognome tanto
difficile
quanto immediato)
all’ambito
cinematografico
(manifesto
di Lon Chaney).
Il tutto immerso
in una surreale
ed ambigua
scenografia
che, con molto
tatto, ricorda
tutto il cinema
espressionista,
da Wiene a
Wendhausen,
passando per
Kobe. Tocco
di classe,
in un film
già
impreziosito
da numerosi
spunti felici,
l’utilizzo
per nulla
invadente
di una morale
forte ma permeata
sotto forma
di gag spesso
grottesche.
Etica che
ci ricorda
da una parte
come troppo
spesso si
tenda ad ignorare,
ingiustamente,
la voce dei
più
piccoli (i
sottotitoli
ai monosillabi
della piccola
Sunny ne sono
il monito
lampante)
e dall’altra
come in un
mondo costellato
di crudeltà
valga la pena
cercare un
rifugio, per
quanto piccolo,
e un appiglio
a cui aggrapparsi
nei momenti
apparentemente
insuperabili;
come ad esempio
“una
(lunga) serie
di sfortunati
eventi”.