JAPANESE STORY
 
 

- Recensione -

 
Hiromitsu, un uomo d'affari giapponese, si reca in Australia per incontrare gli industriali coi quali sta per nascere una fusione di società, ma soprattutto per visitare spazi e luoghi. Ad accompagnarlo e a guidarlo "in giro", Sandy, socia del gruppo. Dopo le iniziali diffidenze, tra i due scatta qualcosa. Sembra la solita minestra romantica interrazziale, per lo più immersa nella bellezza indiscutibile del deserto australiano. Ma Sue Brooks e la sceneggiatrice non permettono alla magnificenza del set di abbagliare più di tanto, e sanno andare a fondo dei corpi e delle psicologie, senza peraltro voler dire troppo ne esplicitare tutto. E ciò che coinvolge e convince è appunto quel senso di "trattenuto" che pervade il rapporto. Japanese Story è in fondo la vicenda di due esperienze inavvicinabili, dove la solitudine e l'insod-
 
  disfazione e il vuoto creano abissi di (in)comunicabilità. Lo script di Alison Tilson gestisce stereotipi geografici con senso della misura, e sorprende non poco col suo scarto a tre quarti della durata. Di lì in poi, è una continua apertura - e non discesa nè salita- alla commozione. Un bei film, tra dramma e mèlo, rispettoso dello spettatore come dei suoi personaggi, ognuno comprensibile nel dolore e, paradossalmente ma poi neanche tanto, nell'incomprensibilità. Magnifica e splendente Toni Collette. Suggestiva la musica di Elizabetn Drake. Attenzione al doppiaggio di Hiromitsu, a rischio banalizzazioni.
 
 
   
Pier Maria Bocchi (Film TV)
 
 
  scheda recensione locandina  
 
     
     

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