THE JACKET
 

recensione the jacket

 
Che succede se perdi la percezione di ciò che sia reale e quello che invece è frutto della tua fantasia, e ti ritrovi rinchiuso con l’accusa di aver ucciso un uomo, ma al contempo ti ritrovi nel 2007 a parlare con quella che credevi solo una bambina ed invece è già donna? Lo stereotipo della mente confusa è attinto a piene mani da John Maybury, alla sua prima esperienza con un lungometraggio ampiamente distribuito, ma in modo intelligente e mai pesante. Il tema della guerra, della confusione e in un certo senso manipolazione del pensiero, ma anche alcune atmosfere sembrano rievocare il recente “The Manchurian Candidate” di Demme. E il tema riproposto in effetti è un po’ liso nell’ambiente cinematografico. La macchina della società che tritura, che emette sentenze definitive rispetto alle quali il  
 
singolo nulla può fare, non può reagire. Questo è tanto vero quanto il continuo gioco a rincorrersi di una sceneggiatura che si trastulla nel e col tempo risultando a tratti consolante, a tratti dura, facendo perdere la bussola spazio-temporale allo spettatore senza per questo incardinare su sterili virtuosismi di scrittura l’economia del film. Il trip mentale (o presunto tale) non diventa così il fulcro di un film che  
tende per lo più a esplorare i propri personaggi, anche se forse sarebbe meglio dire il proprio personaggio. La regia è funzionale allo scopo, e al contempo creativa e non banale. Maybury sta addosso a Brody, ma agli attori in generale, non li molla un secondo, sottolineando con una fotografia traslucida i giochi d’ombra che si formano sui volti, sui corpi. La telecamera esplora il corpo dell’attore, metafora della ricerca del protagonista all’interno della sua mente. Il tutto contribuisce a creare quella coerenza interna che dovrebbe essere requisito fondamentale per ogni film. Peccato per un finale un po’ stiracchiato, che molto concede ad un sentimentalismo amaro alla “Eternal Sunshine”, ma che tutto sommato non è sufficiente per mutare un giudizio che non è comunque negativo, nonostante la portata e le ambizioni del film non siano sicuramente di alta caratura

(di Pietro Salvatori)
 
 
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